Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, si è detto soddisfatto dei dati diffusi dall’ISTAT, nel recente “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi” e li ha presi a sostegno della politica economica governativa “fatta di attenzione ai conti, di riforme” e supporto attenzione agli investimenti pubblici e privati.

Dai dati emerge, tra l’altro che, nel biennio ottobre 2014-settembre 2016, il costo del lavoro complessivo, in Italia, è diminuito dell’1,3 per cento e, nel settore manifatturiero, addirittura del 2,4%, a fronte di un aumento del PIL che, nel triennio 2014-2016, è stato dell’1,8-1,9% circa.

Ciò avrebbe determinato, nel periodo in esame, un sorprendente incremento della competitività dei prodotti italiani, rispetto a quelli dei partners europei che, nei confronti di quelli tedeschi, sembra addirittura aumentata del 6,5%.

Più competitivi grazie al minor costo del lavoro

Nello stesso periodo, infatti, in Germania, il costo del lavoro è aumentato (anziché diminuire) del 5,6%; in Spagna è diminuito dello 0,2% (ma è aumentato dello 0,7% nel settore manifatturiero), mentre in Francia è aumentato complessivamente del 2,6%. Una ulteriore contrazione del prezzo finale dei prodotti italiani - che ne ha accresciuto la competitività - inoltre, è stata determinata dalla concorrente diminuzione della “bolletta petrolifera” che, per l’Italia, è sempre stata più costosa, rispetto ai partners europei.

E’ evidente che la maggior competitività dei prodotti “made in Italy” avrà come effetto un incremento delle esportazioni. Ma questo è un fenomeno già presente negli ultimi anni, come rilevato dai dati ISTAT. Dal 2008 (anno uno della grande crisi), infatti, la domanda interna, in Italia, si è contratta del 9-10% ma quella estera, in termini di fatturato, è aumentata di più del 20%.

Inoltre, la quota del mercato mondiale, coperta dalle nostre esportazioni, è già passata, negli ultimi cinque anni, dal 2,7% al 3%, con un incremento di oltre il 10%. Per il futuro, si prevedono ulteriori incrementi.

I mercati a cui guardano i nostri imprenditori sono soprattutto quelli extra europei, che già adesso rappresentano il 90% del commercio mondiale.

Ma le imprese sono attrezzate per tutto ciò?

I dati ISTAT evidenziano che oggi il grado di utilizzo degli impianti è pari a quello del 2007 pre-crisi. Ciò significa che per ampliare il proprio business e conquistare nuove quote di mercato, le nostre aziende si troveranno ad affrontare una carenza di impianti, visto che, prima della crisi, la loro utilizzazione era a già a livello di saturazione.

Nell’ultimo anno, infatti, si è verificata una crescita della domanda di capannoni industriali, nel triangolo industriale allargato fino a Trieste, pari al 18,5%, soprattutto per quanto riguarda le aziende del settore metalmeccanico e della logistica, cioè quelle maggiormente orientate all’esportazione dei beni.

Diverremo, allora, una “piccola Germania”, dove l’export incide sul Pil per il 51% (in Italia, allo stato, la sua incidenza è al 30%)? Le nostre aziende, poi, sapranno attrezzarsi adeguatamente? Soprattutto: saranno d’accordo a reinvestire verso l’export i propri profitti e/o il sistema bancario, sarà in grado di finanziare gli investimenti necessari?

Gentiloni dà una mano

Un altro elemento di contrazione della domanda interna – con la conseguenza di indirizzare ancor più la produzione nazionale verso le esportazioni – si sta determinando per la messa a regime della fatturazione elettronica, che sta avendo per effetto l’aumento dei prezzi al dettaglio, forniture interne comprese.

Ecco perché il governo Gentiloni/Padoan ha già annunciato un taglio del cuneo fiscale di ben cinque punti, di cui la metà a vantaggio delle imprese e l’altra metà ai lavoratori.

La parte a favore delle imprese sarebbe dovuta a un’ulteriore riduzione delle aliquote IRAP che, cumulata agli effetti della riduzione dei costi del lavoro, porterebbe la competitività delle nostre aziende ben 9 punti al di sopra di quella tedesca.