Nel precedente articolo dedicato alla Brexit, abbiamo rimarcato come la fuoriuscita della Gran Bretagna dall'Europa Unita non sia, tutto sommato, affatto da rimpiangere, e per motivi ancor prima che economici, geopolitici. L'argomento chiave a supporto della nostra tesi ruotava essenzialmente attorno al concetto di «nazionalismo colonialista», vizio storico che ha sempre alimentato l'egotica politica estera del Regno Unito (basti pensare alla breve ma feroce guerra del 1982 contro l'Argentina per ribadire il possesso delle remote isole Falkland/Malvinas), anche se per cause di forza maggiore esso è costretto ormai da tempo a coltivarlo all'ombra del potente 'alleato elettivo' USA.

Ebbene, ci teniamo ora a sottolineare che quel vizio storico, antico quanto il mondo, ma strutturatosi compiutamente, sotto il profilo politico-culturale, nella moderna Europa dell'Ottocento (cfr. in particolare Eric J. Hobsbawm, Nazioni e nazionalismi. Programma, mito, realtà, trad. it., Einaudi, Torino 2002), non è stato certo appannaggio esclusivo della Gran Bretagna, ma ha fortemente caratterizzato tutte le nazioni europee, le maggiori in testa.

Gli scempi perpetrati in giro per il pianeta, all'insegna delle famigerate «tre M» (Mercanti, Mercenari, Missionari), dalle politiche predatorie di Francia, Olanda, Belgio, Spagna, Portogallo, Austria asburgica e Germania..., non possono proprio essere rimossi, e sono ormai consegnati agli annali della grande Storia.

E sempre a questi sono consegnati i due terribili conflitti mondiali del Novecento (cfr. in particolare Eric J. Hobsbawm, Il secolo breve. 1914-1991, trad. it., Rizzoli, Milano 2014), tragico culmine di cosa, se non, mutatis mutandis, di quella stessa «ideologia nazionalista», se possibile ancor più fanaticamente aggressiva?

Attualità del Manifesto di Ventotene

È vero, successivamente l'Europa, nonostante l'avvento di nuove potenze globali e l'inevitabile proliferare nel pianeta di una miriade di conflitti locali più o meno intensi, ha goduto nel complesso di un lungo periodo di pace e (sempre relativa) prosperità, anche se va tenuto ben presente che il conflitto scatenatosi nei Balcani (1991-95), ancora una volta alimentato da 'rigurgiti nazionalistici' (e relative feroci «pulizie etniche»), ha aperto nel pieno del Vecchio Continente una ferita sanguinosa e lacerante che non si è ancora rimarginata.

Ma è altrettanto vero che la globalizzazione economico-finanziaria degli ultimi decenni si è svolta in modo selvaggio (deregulation) e squilibrato, avendo il proprio motore in una 'nuova ideologia', quella «Neoliberista», che ha fortemente rilanciato una competitività esasperata e violenta fra gli Stati non meno che fra gli individui, con pesanti ricadute sugli ecosistemi e sulla salute (anche mentale) dei singoli. Ed ecco allora che, in una perfetta e fatale eterogenesi dei fini, tornano oggi a spirare, oltreoceano non meno che da noi, impetuosi venti 'apertamente sciovinisti', i quali riprendono a gonfiare le vele di quelle chiusure particolaristiche che il progetto solidale di un'Europa Unita, almeno alle sue origini in quel di Ventotene, voleva scongiurare per sempre.

È questo progetto genuino, quello dei veri padri fondatori, che dobbiamo davvero rilanciare, in tutta la sua attualità: “(...) quando, superando l'orizzonte del Vecchio continente, si abbraccino in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l'umanità, bisogna pur riconoscere che la Federazione Europea è l'unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l'unità politica dell'intero globo” (Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, Il Manifesto di Ventotene, Mondadori, Milano 2006, p. 28).