Sogni, passioni, gioia, speranza. Tutto questo è lo sport. Un mix di ambizioni e traguardi, di obiettivi ed arrivi, in cui è facile perdere il cuore in balia delle emozioni, quelle più vere, genuine. Il calcio rende tutto questo ancora più nudo e crudo. Come un amplificatore, accentua questo effetto sentimentale. Come se la rincorsa a quel dannato pallone, alla fin fine, fosse la ricerca del proprio io, del proprio posto nel mondo (e perchè, non è così?). E quando vinci, quando alzi un trofeo, ti senti in pace con te stesso, quasi fossi nato per essere lì, in quel momento.

Lì e da nessun altra parte. Al posto giusto al momento giusto. Tutto bello, tutto perfetto. Troppo per poterci credere fino in fondo.

Ma ogni medaglia ha il suo triste rovescio. Ogni sole ha la sua luna. Ogni gioia ha il suo dolore. Nel calcio il pallone gira, rispettando leggi, come quella di gravità, implacabilmente uguali per tutti. Capita allora che una partita, che dovrebbe essere una formalità, diventi una tragedia. Sportiva, ma pur sempre una tragedia, di quelle che spesso non dimentichi più. Capita che uno dei più grandi giocatori che abbia mai calcato un prato verde, il Fenomeno, quel Ronaldo tutto 'dentoni dribbling e fantasia', si sogni con in mano un trofeo, forse perfino modesto per cotanto talento, e si ritrovi in lacrime, di quelle rare, perché appartenenti ad un campione.

Capita che il cielo sembri sereno all'orizzonte, ma che si scurisca nel giro di niente, diventando nero. Anzi, bianconero. Se diciamo 5 maggio, a tifosi di Juventus e Inter vengono in mente emozioni ben distinte. Palpitazioni a mille per i primi, disperazione per i secondi. In mezzo, tutti i tifosi (e non) che abitano lo Stivale, nessuno, quella domenica di 15 anni fa, poté rimanere indifferente.

Lazio-Inter. Biancocelesti con nulla da chiedere al campionato, Inter con uno scudetto così vicino che sembra stampato già sulle maglie. Era l'ultima giornata di un campionato che nessuno dimenticherà mai. Un 4-2 che consegnò lo scudetto nelle mani di una Juventus (che passeggiava intanto ad Udine) più sorpresa che felice, ma pur sempre vittoriosa.

Tutti, chi allo stadio, chi in TV, chi al bar con gli amici, chi nel bunker di casa sua, capirono poco o nulla. Si stava compiendo la storia. E come spesso capita, è stata positiva per qualcuno, negativa per altri.

A volte lo sport sa essere crudele. Così come sa farti correre dietro un pallone senza un vero fine. Cosa lo renda davvero così non ci è dato di saperlo. Possiamo solo vivere la realtà, che ci dice come in pochi veramente riescano a farne a meno. E il 5 maggio 2002, ci ricorderà sempre questo. Perché il mondo alla fine, è tutto, fuorché controllabile.