Poco dopo le 7.30 di questa mattina è stato ucciso un uomo in Via D'Ossuna, nel quartiere Zisa di Palermo. Fa un certo effetto quando un tale fatto di cronaca si verifica a poche centinaia di metri da casa propria, in una strada percorsa decine e decine di volte. Fa ancor di più uno strano effetto, quando si viene a sapere che la vittima, Giuseppe Dainotti di 67 anni, era un boss mafioso condannato all'ergastolo, poi scarcerato nel 2014. Stava percorrendo la strada in bicicletta ed è stato raggiunto da alcuni colpi di pistola, dunque una condanna a morte, messa in atto da due uomini forse a bordo di una moto.

Alla vigilia del Venticinquennale della Strage di Capaci e delle stragi di mafia del 1992, più in generale, Palermo si copre di sangue un'altra volta, del sangue di quello che si presenta come un'orrida forma di contrappasso, quasi. Quando si legge o si ascolta di fatti simili, a Palermo si commenta, si ragiona, si esorcizza con il confronto, come se questo potesse allontanare il dubbio, la paura. Come quando in passato si è appreso che un giudice della Procura Antimafia è stato ucciso. Come quando si apprende di un incendio che rade al suolo questa o quell'attività commerciale o della colla applicata sui lucchetti di una di esse. Oggi si trattiene il fiato, si rimane in silenzio, in un'attesa quasi trepidante, poiché realizzare che anche la Mafia ha le sue vittime, o forse più propriamente condanna a morte anche la "propria" gente, rende più vulnerabili ancora, di quanto già non ci si senta, al cospetto dell'omicidio di una persona "comune".

Come quando, il 12 marzo 2014, fu ucciso il pregiudicato per associazione mafiosa Giuseppe Di Giacomo, in Via Eugenio l'Emiro, a pochi metri dal luogo in cui oggi si è consumata un'altra vendetta. A tentare di trovare una chiave di lettura, ammesso che ve ne sia una, ci si sente intimiditi. Come se qualcuno volesse rammentare in maniera incisiva la sua costante presenza.

A Palermo, a seconda di quanto "scruscio" suscita una notizia di questo tipo ad un livello collettivo, ci si sente portati a modificare il proprio pensiero, il proprio modo di comportarsi, o perfino nella capacità, o incapacità, di esprimerlo, un pensiero. Ed in effetti la trappola funziona: l'obiettivo primario della Mafia è quello di instillare il sentimento della paura, attraverso fatti più o meno clamorosi, che coinvolgano e sconvolgano l'opinione pubblica. E noi andremo attraversando d'ora in poi Via D'Ossuna in silenzio e a testa bassa.