Chi avrebbe conosciuto la figura di Ayse Deniz Karacagil, "Kirmizi fularli", in lingua italiana Cappuccio rosso, se non fosse stata raccontata e divulgata dalla penna di Zerocalcare in Kobane calling? Ed ora che Ayse Deniz viene chiamata con il proprio nome, chi è in grado di identificarla in Cappuccio rosso? La sua storia di "personaggio pubblico", cominciò durante la rivolta di Gezi Parki, nel maggio 2013.

La mobilitazione nacque dalla volontà dei cittadini di protestare contro alcuni provvedimenti di soppressione per uno dei pochi parchi cittadini rimasti a Instanbul, da parte del governo di Recep Tayyip Erdogan.

Tale protesta confluì poi nell'aspra critica, estesasi all'intero Paese, al sistema fondamentalmente autoritario del governo del Premier e fu duramente repressa con mezzi discutibili, generando dissenso pubblico in tutta Europa. Ayse Deniz, a causa del proprio coinvolgimento, venne condannata nell'ottobre 2013 a cento anni di carcere per associazione terroristica: accuse commisurate ad una pena ben più severa di quella riservata ad altri partecipanti alla manifestazione.

Scarcerata prima della sentenza definitiva, riuscì a recarsi prima sulle montagne nelle fila del movimento di liberazione curdo, poi a combattere per la liberazione di Kobane, cittadina siriana assediata dall'Isis, difesa dalle milizie curde, nella divisione femminile.

La combattente turca è rimasta uccisa in una sparatoria nove giorni fa, vicino Raqqa, al confine tra Turchia e Siria, nella lotta portata avanti contro le milizie dell'Isis. Una persona come tante, che muore in guerra. Una persona che si è battuta per la libertà altrui, fosse anche "solamente" la libertà di fuggire per ricostruire la propria vita altrove.

Come è accaduto ai giovani curdi che ho incontrato circa un mese fa nella kebabberia che hanno scelto di aprire a Tiburtina, con tanti sacrifici.

Tutti i giorni, parole loro, si domandano dove realmente si viva meglio, se all'interno di una guerra fisica oppure coinvolti in una guerra di valori, di cultura, di esclusione. Parlano delle ingiustizie che ritengono di subire in Italia (e non sono poca cosa) dagli autoctoni, in quanto stranieri, e dagli altri immigrati, in quanto naturalizzati meglio di altri.

Non hanno parlato di Ayse Deniz, ma sanno che laddove sono nati c'è chi ha combattuto per la loro libertà e chi tuttora combatte per quella di chi rimane. Per chi sa, un pensiero non può che andare alla giovane militante turca e alle vite che, anche inconsapevolmente, ha preservato con la propria.