In questi giorni sembrano volgere al termine le battaglie più importanti contro lo Stato Islamico, sia sul fronte siriano che sul fronte iracheno: infatti si rammentano le operazioni di riconquista delle due “capitali” del califfato, al-Raqqa in Siria e Mosul in Iraq.

Colpiti i simboli dello Stato Islamico

Per quanto sia prematuro e azzardato dare del "morente" allo Stato Islamico, considerando che ogni suo adepto conduce una crociata personale sul territorio occidentale, è un fatto che il suo “leader” e i suoi “simboli” stiano ormai cedendo ai colpi del fuoco nemico.

Alla presunta morte di Abu Bakr al-Baghdadi, così come annunciato dall’intelligence russa ma non ancora confermata, si aggiunge la distruzione della Grande moschea di al-Nouri, a Mosul, dove nel giugno 2014 venne proclamata la nascita del califfato. Circa l’identità del responsabile della distruzione della moschea, circolano due versioni differenti: secondo una prima testimonianza delle forze militari irachene, la moschea risultava già in macerie al loro arrivo; una seconda versione perorata dall’ISIS sul suo sito web, Amaq, ritiene che l’accaduto sia la conseguenza di un raid aereo dell’aviazione americana. Nonostante sia stata confermata la prima versione dal Primo ministro iracheno, Haider al-Abadi, ovvero che la distruzione della moschea sia avvenuta per mano degli stessi combattenti dell’ISIS, come a inscenare un suicidio d’onore, certo non cambia i connotati di un evento che storicamente conserverà il suo valore simbolico, probabilmente più rilevante della morte del califfo.

D’altra parte, più che l’esecuzione di Luigi XVI, la sconfitta dell’Ancient Regime si ebbe con la presa della Bastiglia.

Con la sconfitta del califfato, si rischiano nuovi conflitti

Dunque, una guerra che sembra volgere al termine, ma quando l’ultima bandiera nera dell’ISIS verrà estirpata dal territorio siriano-iracheno, si potrà dire conclusa la guerra?

Parafrasando Erasmo da Rotterdam, che nei suoi Adagia paragonò la guerra all’idra di Lerna, dalla testa esanime dello Stato Islamico rischiano di generarsi nuovi e inediti conflitti. Infatti, si aspettano ostilità più intense condotte dalla Turchia nei confronti dei curdi e, soprattutto, la posizione degli USA davanti a questo “aut-aut” tra i suoi due alleati e le reazioni dell’Iran e della Russia quando l’attenzione dell’asse curdo-arabo-americana si rivolgerà nuovamente su Bashar al-Assad.

Paradossalmente, la sconfitta dell’ISIS ne decreterà la sua vittoria, quando inizieranno le muscolari rivendicazioni delle diverse fazioni che stanno contendendosi e spartendosi i territori del “morente” Stato Islamico.

Il nuovo erede al trono saudita

Un’instabilità generale che rischia di accentuarsi con la crescente crisi del Golfo che, in queste ultime ore, assiste alla nomina “sui generis” di Mohammed bin Salman, già Ministro della Difesa e figlio dell’attuale re Salman, come nuovo erede al trono saudita, a dispetto del cugino, Mohammed bin Nayaf. Il giovane Mohammed bin Salman è l’autore di “Saudi Vision 2030”, un progetto che, non solo ridefinisce il mercato del lavoro e alcune politiche sociali incentrate sull’incremento del turismo e il taglio delle spese militari, ma ha l’ambizione di condurre l’Arabia Saudita all’indipendenza dal petrolio entro i prossimi 13 anni; nonostante tutto, il suo ruolo determinante nel brutale conflitto in Yemen e nell’isolamento verso il Qatar, sembrerebbe nascondere una marcata linea politica conservatrice e militarista, e non rivoluzionaria come sembrerebbe dalla sua visione.