Se l'è cercata. Forse. Se lo è meritato. Possibile. Uno di meno. Matematico. Sono solo alcune delle possibili reazioni che si possono vedere sul web in seguito a notizie come quella di oggi in cui si annuncia il suicidio del (finora solo presunto) killer di Ester Pasqualoni, l'oncologa di Teramo, uccisa ieri nel parcheggio davanti all'ospedale locale in cui lavorava.

Teramo: una tragedia autoassolutoria

Se lo stalker, più volte denunciato dalla donna in passato, è stato davvero il suo ultimo aguzzino, possiamo dire che questo delitto si è concluso nel più definitivo dei modi, con la morte del colpevole.

Un finale degno di una tragedia Eschilea. Il rischio però, è una catarsi autoassolutoria incapace di risolvere il problema alla radice. A differenza delle tragedie greche, infatti, a leggere questi articoli non sembra esserci una collettività capace di analizzare l'accaduto in chiave autocritica, ma individui pronti a ergersi a giustizialisti incapaci di vedere il problema della violenza contro le donne in un'ottica più generale. Trovate il colpevole vivo o morto, se poi si ammazza da solo tanto meglio, abbiamo risparmiato i soldi del proiettili o, ancora meglio, del rancio in ospedale. Un ragionamento da neo far west che cela dietro di sé una sostanziale incapacità a dar delle risposte più incisive e più a lungo termine, in modo particolare ai più giovani.

Chi era l'uomo che perseguitava la dottoressa abruzzese? Un maschio, e tanto basta. Che poi fosse un fidanzato respinto, un marito da cui si era separata o una persona che "amava" Ester senza essere ricambiato poco importa. Quello che importa è che nella civilissima italia, all'alba del terzo millennio, un maschio adulto sgozza un altro essere umano di sesso femminile dopo averlo perseguitato per anni.

L'educazione come antidoto alla violenza

Jean-Paul Sartre nel 1944 scriveva l'opera teatrale A porte chiuse: qui la sua visione dell'inferno era profondamente laica e profondamente antidantesca, dal momento che per il filosofo francese la peggior pena eterna era lo star chiusi in una stanza con un gruppo di persone per l'eternità.

Sarebbe stata la stessa meschinità umana a permettere il reciproco massacro ad aeternum, senza dover scomodare diavoletti armati di forcone né tanto meno divinità onnipotenti. La finitezza umana contiene già in sé il seme della distruzione. L'unico antidoto a questa tragedia annunciata è una valida educazione, a partire dai primissimi anni dell'infanzia. Dobbiamo dunque richiedere a gran voce che tanto la scuola quanto le famiglie si impegnino affinché i bambini conoscano il problema ed inorridiscano davanti ad esso.

In una società individualista come quella che stiamo costruendo, il mondo dell'infanzia è l'unico nel quale si può ancora contare su una collettività. E' noto a tutti come negli anni dell'infanzia e dell'adolescenza l'elemento del gruppo sia fondamentale per la crescita del singolo.

Bene, questo elemento può essere lasciato allo sbando, come un campo incolto, e il raccolto sarà con molte probabilità rovinato dalla gramigna, oppure - cosa più difficile ma tanto più salvifica - può essere sfruttato per la crescita reciproca dei suoi elementi. Insegniamo, attraverso il gruppo, l'uguaglianza di uomini e donne; facciamo capire agli adolescenti che la femminilità non è una merce da svendere o comprare al libero mercato del piacere. Mi rendo conto che sono parole che potrebbero uscire dalla bocca di qualche bacchettone all'antica, ma forse le pubblicità dei profumi e delle automobili, sempre più inutilmente cariche di rimandi alla sfera sessuale in cui la donna è vista come un oggetto da conquistare con qualsiasi mezzo, dovrebbero farci riflettere.

Le persone poi che, come me, si affacciano ora alla soglia dei trent'anni sono cresciute con il mantra pubblicitario del "maschio che non deve chiedere mai". Cosa non devo chiedere? E come devo reagire davanti ad un rifiuto? Questo non ce lo hanno mai detto per un semplice motivo: i rifiuti non sono contemplati. Un silenzio che sa di ammiccante assenso o pacata sottomissione sono la risposta che ci si deve aspettare da un genere ontologicamente portato a chinare il capo e a accettare passivamente le decisioni del maschio alpha. Una mentalità malata che ha condotto a capitoli sempre più tragici, trasformati in numeri a loro volta diventati slogan troppe volte buoni solo per neo o vetero femministe, ma prive di una reale indignazione della società nel suo contesto.

Come insegnante sono tornato più volte su questi argomenti con i miei ragazzi. Non mi sono chiesto se a undici anni fosse troppo presto per parlare di femminicidio e di abusi fisici o psicologici sulle donne. Le parole dei miei alunni, pronunciate in classe o scritte sui temi a casa, sono state la miglior risposta a quanti mi chiedevano, tra i miei conoscenti fuori da scuola, se fosse proprio il caso di parlarne ("Sono solo in prima media, che ne sanno loro?"). La verità, ci piaccia o meno, è che i giovanissimi di oggi entrano sempre di più e sempre prima a contatto con la pornografia, con la pubblicità e con quelle tematiche che un tempo avremmo definito, forse troppo sbrigativamente, "da grandi".

Se non faremo nulla rischieremo di creare una generazione di disagiati, ma se saremo in grado di dare agli adolescenti dei prossimi anni i giusti strumenti per analizzare il contesto e i rapporti interpersonali, in particolare con l'altro sesso, non ci sarà più gente che dovrà cercare di convincerci che, in fondo, è giusto gioire per lo stalker suicida.