L'osservato speciale, durante questi ultimi giorni di dibattito politico vario e piccante, è sicuramente Matteo Renzi. Guardandolo bene dal di fuori si capisce come egli, piegandosi sapientemente e volutamente ad una logica di adattamento salvifico, abbia teso a radicalizzare la sua linea politica. Qualcuno potrebbe dire che è il populismo renziano che si trasforma e si confà ai tempi che corrono. Meglio evitare però termini che ormai sono diventati prettamente negativi e che lo avvicinerebbero troppo al suo rivale pentastellato; sarebbe un'eresia imperdonabile.

Sta di fatto però che il rottamatore di Pontassieve ha alzato i toni, si è quasi "incattivito", il virgolettato è d'obbligo, tanto che, giusto per citare uno degli esempi fattibili, sulla questione migranti i suoi colpi non sono caduti poi così tanto lontani da quelli del "guerrafondaio" Salvini.

Che Renzi stia scalpitando per tornare nelle stanze di palazzo Chigi è un dato di fatto che nessuno in via del Nazareno vuole nascondere. La strada però non era mai stata così irta e piena di pericolosi agguati e spallate. Allora quando c'è da fare la guerra, Matteo non indietreggia, anzi si arma, para i colpi ed attacca soprattutto con la sua lingua pungente.

Come nella più classica delle storie trasformiste (De Pretis, buon'anima, impallidirebbe) il protagonista da europeista convinto si ritrova a mettere i tanto agognati paletti ("Aiutiamoli a casa loro - dice - non possiamo mica accoglierli tutti"); da quello del "metteremo i conti a posto" passa magicamente sulla sponda dei nuovi "fiscal-critici"; da accanito sostenitore della libertà, è magicamente trasmigrato verso le idee paranoiche, tipiche della sinistra più radicale, della paura di un fascismo sempre dietro l'angolo.

Ha scomodato addirittura la legge Scelba che i nostri parlamentari (non tutti per la verità) avevano conosciuto solo tramite i libri di storia.

Neologismi a parte, il risultato del referendum costituzionale del 16 dicembre, quello della celeberrima riforma Renzi-Boschi, deve essergli andato proprio di traverso. Chissà quali scenari si sarebbero potuti aprire se il suo magico disegno risolutore fosse andato a buon fine.

Questo sicuramente non ci è dato saperlo, ma fatto sta che la storia delle dimissioni da Presidente del Consiglio e da Segretario del PD, nonostante il governo burattino del buon Gentiloni, gli è pesata, e parecchio.

Sentendo le sue ultime dichiarazioni rilasciate al quotidiano Repubblica di stamani, giusto per tornare ai paragoni, sembra quasi di sentire il Berlusconi dei tempi d'oro : "Quando ho perso volevo andarmene, mi sono dimesso da tutto - dichiara con l'immancabile sorriso - ma quando hai un milione di persone che ti dicono 'ripartiamo insieme' allora non ti puoi dimettere da cittadino e sono tornato sui miei passi". Et voilà, direbbero i cugini d'oltralpe!