Cosa c'è di più doloroso del ricordo delle uccisioni, da parte della mafia, dei giudici Falcone e Borsellino, se non il dubbio che le morti di tanti servitori dello Stato siano state in qualche modo inutili? L'età anagrafica ci impone la memoria dei tanti eroi che hanno sacrificato le proprie vite per difendere la democrazia e la Repubblica dal demone interno che storicamente la consuma; quella "criminalità organizzata" che assume nomi e forme molteplici (mafia, 'ndrangheta, sacra corona unita...), ma che veste l'identico cupo mantello della violenza e della sopraffazione.

Gli oltraggi alla memoria

Nelle ultime settimane, gli sfregi apportati ad alcuni simboli della lotta alla criminalità, di cui l'ultimo alla stele del giudice Rosario Livatino, il "giudice ragazzino", avvenuto dopo i raid vandalici nella scuola del quartiere Zen di Palermo intitolala a Giovanni Falcone, segnano la paura della memoria che questi nomi portano con sé. Mentre la politica trasuda la solita retorica auto-celebrativa da passerella - che non ci risparmia mai in queste ricorrenze - senza avere mai avuto davvero nell'animo amore per questi servitori dello Stato, moltissime persone percepiscono in quei sacrifici, nelle storie, e nei discorsi di costoro, l'essenza di un valore di giustizia dal quale non può prescindere una comunità che voglia definirsi civile.

Il sistema delle connivenze e delle complicità

A Falcone e Borsellino non si può perdonare l'aver messo in luce l'aspetto politico della criminalità, le connivenze e le complicità con i poteri dello Stato. Oltre i complessi aspetti della ricerca della verità sulle stragi e sui mandanti, ciò che non deve essere scordato, per onorare realmente la memoria di questi personaggi, è il loro contributo nell'aver chiarito i rischi di deriva anti-democratica insiti in certi comportamenti.

Antonio Michele Moccia è un giovane giornalista che si occupa di mafia, autore di diversi libri: avemmo l'occasione di conoscerlo nel 2015, alla presentazione del suo libro, "Il sistema Italia". Ci raccontò l'evoluzione della criminalità nel tempo, gli scandali di Expo 2015 e del Mose; la mala politica dove non era più il mafioso a cercare il politico, ma quest'ultimo a cercare l'altro per procacciarsi voti.

La storia della commistione che crea legami indissolubili di interessi che gravitano intorno e dentro gli appalti facendo lievitare i costi sino all'800%. La trasformazione di un tessuto sociale che si incancrenisce al sud, dove la criminalità sguazza nel voto di scambio, giocando al ricatto con la gente disposta a fare qualsiasi cosa per mettere insieme il pranzo con la cena. Abbandonati dallo "Stato", votano rimpolpando le fila di quegli stessi politici che li abbandoneranno al loro destino.

La lezione più importante

Fu proprio Borsellino a lasciare come testamento, in numerosi interventi, l'idea che la mafia può essere sconfitta, ma è necessaria la chiarezza nei rapporti con la politica. Il comportamento dei politici non può essere giudicato solamente in termini di "reato" riconosciuto dal codice penale.

Il valore "morale" dei comportamenti disdicevoli e impropri, se non possono essere perseguiti dalla Legge, non significa che non debbano prevedere delle "sanzioni" politiche, quelle da lui definite "ragioni di opportunità", allontanando certi personaggi compromessi con il crimine. La storia quotidiana ci insegna che nei partiti politici la tendenza è ben diversa.

In Val di Susa, la lotta contro la linea Tav Torino-Lione, ha rappresentato negli ultimi anni il simbolo del rifiuto di questo genere di connivenze. Numerosi sono stati i testimoni che hanno dimostrato, con la loro esperienza e le loro conoscenze, gli interessi del malaffare insiti nel gioco delle "grandi opere". Magistrali, a riguardo, le lezioni del presidente onorario della Corte di Cassazione, Ferdinando Imposimato, ospite più volte in Valle, che fu il primo magistrato ad occuparsi delle indagini sulla linea Tav Roma-Napoli.

Da sottolineare anche gli interventi dell'ingegnere Ivan Cicconi, recentemente scomparso, che negli anni ha dimostrato la follia delle leggi partorite per favorire il disastro finanziario e le complicità criminali sugli appalti pubblici.

Più che di grandi celebrazioni, abbiamo necessità di mettere in pratica gli insegnamenti di Falcone e Borsellino, rammentando che la democrazia non è data per sempre, ma è una conquista continua, quotidiana, un principio da difendere contro chi vorrebbe privarcene.