Italia, anno zero. Dopo 11 anni gli azzurri tornano a perdere una partita di qualificazione all’Europeo o al Mondiale. Facile ricordare l’ultima volta, ancora un 3-0, sempre a settembre e ancora contro una grande, a Saint Denis contro la Francia. Improponibile però il confronto con quei tempi: si veniva da un Mondiale vinto, ma pure dalle scorie di Calciopoli, l’avversario era la Francia sconfitta nella finale di Berlino, comprensibilmente ferita e desiderosa di riscatto, puntualmente trovato al cospetto di una squadra che aveva perso, oltre al ct, con il passaggio da Lippi a Donadoni, pure la magia del mese tedesco.

Imputato Ventura

Insomma, se all’epoca le attenuanti c’erano ancora, per il 3-0 di Madrid gli alibi stanno a zero. Un messaggio che, e forse questa è l’unica nota lieta di una delle notti più amare della storia azzurra, sembrano aver recepito tutti i giocatori, da Buffon a Bonucci fino a Verratti e Insigne. Non, però, l’allenatore. Inutile girare attorno all’ostacolo: il maggior responsabile del tracollo azzurro si chiama Giampiero Ventura, inevitabilmente impallinato dalla critica durante il match e pure dopo, per motivi tattici e non solo. Va detto tuttavia che alla vigilia della mission impossibile, vincere in Spagna dopo 70 anni e con una delle Nazionali più mediocri della storia recente, la stampa aveva avallato il progetto del 4-2-4.

I perché di un'umiliazione

Altro che i numeri nel calcio non contano, i moduli sono solo virtuali: nessuno a preconizzare l’inferiorità numerica a centrocampo, nessuno a immaginare che una delle grandi lacune del calcio venturiano, il pressing, acuita dalla condizione atletica approssimativa, avrebbe aperto alla Spagna autostrade di cui Isco e compagni non avevano bisogno, visto il già evidente gap tecnico a proprio favore.

Eppure, il ct ha provato a evocare l’alibi della preparazione, del campionato iniziato "tardi", prima di arrampicarsi su un incredibile “abbiamo preso due gol con un tiro in porta”. In effetti i dati parlano di un’Italia che ha concluso di più verso De Gea di quanto la Spagna abbia fatto verso i pali di Buffon, ma si tratta solo del classico caso nel quale le statistiche non sono indicative, divenendo anzi fuorvianti.

Pure il possesso palla nel secondo tempo è stato appannaggio degli azzurri, eppure, e non è un paradosso, proprio la ripresa ha mostrato il volto peggiore dell’Italia, in balia dell’avversario nei primi 45’ per i suddetti motivi, ma poi desolatamente priva di idee nella seconda parte di gara.

La piccola Italia e la gigante Spagna

La notte di Madrid non ha certo offuscato il trionfo Mondiale di 35 anni fa, ma ha denotato come quella generazione di giocatori, e di allenatori, è lontana: se non puoi vincere una partita, meglio non perderla, avrebbe pensato Enzo Bearzot, che poteva, è vero, contare su una rosa infinitamente più di classe e personalità rispetto a quella odierna, ma che, pur essendo tutt’altro che catenacciaro (vecchi luoghi comuni), si sarebbe presentato al Bernabeu magari con tre punte, ma con un centrocampo più folto e tanta intelligenza tattica in più, quella che è mancata all’Italia venturiana, allungata dopo pochi minuti e capace pure di farsi punire in contropiede dopo non aver prodotto alcun pericolo.

Spagna e Italia avevano in campo tanti giovani, ma se in casa Roja il tempo delle promesse è finito, e Isco e Asensio sono realtà del panorama internazionale, noi ci chiediamo ancora quale sia il reale spessore oltre confine di giocatori come Insigne o Verratti, oltre che sorprenderci per il fatto che Leonardo Spinazzola, zero minuti ufficiali in stagione, sia stato provato come quarto di difesa dopo aver fatto il campionato della vita da quinto di centrocampo.

Si può solo risalire

Abbiamo toccato il fondo e dopo essersi chiesto perché il ct non solo abbia assistito inerme allo scempio per 70’ (vero è che a quel punto cambiare sarebbe stata non solo un’ammissione di colpa, ma pure inutile e tardivo, considerando i centrocampisti in panchina), sia perché Ventura sia stato lasciato sbagliare da solo, dal momento che non è certo inusuale che, in particolare in una Nazionale, il “consiglio dei pretoriani” si confronti con il commissario tecnico per decidere cosa fare.

Delle due, l’una: o Ventura ha presuntuosamente rifiutato ogni suggerimento, oppure qualcosa scricchiola nello spogliatoio e parte di esso comincia a nutrire dubbi sulla gestione tecnica. Inutile ora recriminare: la figuraccia è fatta e resterà incancellabile, ma bisogna provare a salvare il salvabile, chiudendo al secondo posto. Il playoff non sarà impossibile, ma neppure semplice, ma non andare in Russia sarebbe una tragedia sportiva. Ventura o non Ventura, bisogna evitare di completare il crollo e di aggiungere scempio a scempio. Il 3 settembre 1989 se ne andava uno dei miti del Bernabeu 1982, Gaetano Scirea. Vedere al suo posto in campo il presuntuoso Bonucci ha fatto più male della doppietta di Isco.