<<Io a quei musi neri gli sparerei ancor prima di arrivare sulle coste>> dice una signora sulla sessantina in un paesino umbro, proprio all’indomani dell’attentato di Barcellona rivendicato Isis, commento altresì rimarcato dopo l’attentato nella metropolitana di Londra. Frasi che si sentono ripetere spesso di questi tempi. Emergenza migranti e terrorismo in un unico periodo. Rinuncio troppo presto a cercare con lei una riflessione sul fatto che “quei musi neri” sono esseri umani, perché mi torna in mente una breve conversazione avuta pochi giorni prima su un treno regionale diretto a Roma.

Un signore, parlando della generale tendenza a preferire l’aggressione al dialogo, mi apostrofava: <<Non c’è più ordine in questa città, ci vorrebbero più manganellate sulle ginocchia capisci?!>>. Per quanto sperassi di ritrovarmi fuori contesto, risposi fiera che non credevo si potesse rispondere alla violenza con altra violenza. Parole che rimasero in aria, un’asserzione del tutto utopistica visto che il mito dell’Europa sembra stia fallendo sotto uno dei suoi più alti valori, quello della convivenza pacifica messo a rischio dalle stesse frontiere che qualche decennio fa ci avevano mortificato.

L’Isis (Daesh), fondato nel 2004 per combattere la presenza americana in Iraq, sta attuando nel cosiddetto Occidente una politica del terrore volta ad esprimere un chiaro messaggio, ben implicito nei loro primitivi video e ancora più esemplificato negli attentati terroristici.

I nuovi crociati, con la scusa di divulgare il Corano sotto l’egida di una guerra santa in questo senso mai voluta da Allah, sovvertono la realtà per un fine ultimo che non ha nulla a che vedere con la co-esistenza né con la verità: creare il Caos, dall’arabo fitna.

Ripensare all'uso delle parole

Molti pensatori islamici hanno cercato di contrastare questa idea distorta di Jihad, ricordando che secondo il Corano non può esistere coercizione nella sfera religiosa.

La manipolazione del Corano è avvenuta fin dalle sue origini, mal traducendo dal persiano in arabo, non facendo distinzioni di genere e senza dare alcuna importanza alla traduzione del contesto che sta dietro e dentro le parole. In questo modo, dato il moltiplicarsi di ingiustizie e guerriglie succedutosi dalla seconda guerra mondiale ad oggi, altrettanti musulmani pensano che il terrorismo verso gli infedeli sia giustificato.

E’ bene non generalizzare però, non è raro vedere mobilitarsi la comunità musulmana in favore dell’Occidente e contro simili atti violenti, non ultimo quello alle Ramblas di Barcellona o della metropolitana di Londra, trattandosi appunto di atti violenti perpetrati contro la famiglia umana e in quanto il terrorismo non sembri vedere differenze tra innocenti e carnefici.

Come aveva sostenuto Benazir Bhutto, ex primo ministro pachistano uccisa a Islamabad in un attentato nel 2007: “La mia fede musulmana si oppone a coloro che usano l’Islam per giustificare atti terroristici, distorcendo, manipolando e sfruttando la religione per i loro particolari programmi politici. Le loro azioni non sono solo antitetiche all’Islam, ma espressamente proibite dal Corano”.

Dialogare, con chi?

Eppure in Siria, in Libia come in Europa, mancando l’assenso politico e la fiducia del popolo, si stanno creando barriere che aumentano le differenze etniche e religiose, facendo leva su un minor apparato di diritti civili senza i quali sarà impossibile intavolare un dibattito sulla libera scelta individuale e collettiva. In assenza dei diritti civili, ecco che il terrorista in auge assurge la paura come unico segno identitario.

Sulle motivazioni del terrorista ho cercato a lungo spiegazioni. Come poter accettare criticamente e consapevolmente di stare uccidendo, trovando nell’annientamento altrui l’unica soluzione alla propria libertà? Ho riportato il pensiero ad una delle esperienze traumatiche più estreme al quale l’essere umano è stato chiamato ad assistere e che è poi sfociato nel Processo di Norimberga.

Nel contesto del campo di sterminio l’individuo è stato di fatto esiliato dalla propria vita. La radice della banalità del male secondo Hannah Arendt era insita nel fatto di non avere cultura né memoria, ed ecco perché sotto regime è tanto facile sottrarre l’individualità altrui. Al pari di oggi se oltre al giudizio si fosse sospesa l’azione e la mala-intenzione, non sarebbe stato istituito nessun tribunale speciale che, attualmente, in Medio Oriente vede risiedere nell’organo di potere i militari e il quale meccanismo legale segue regole procedurali diverse da quelle ordinarie con una significativa riduzione dei diritti dell’imputato. Se nel corso della Storia non ci si fosse illusi di confondere le leggi universali, come l’uguaglianza, non solo si sarebbe evitato il conflitto ma non sarebbe stato commesso alcun crimine contro l’umanità.

Dove si trova l’assenso per non commettere crimini del genere?

La nostra cultura, la nostra memoria

Il potere della globalizzazione ci ha resi immuni alle atrocità che vediamo passare in televisione o alle quali siamo testimoni. Il nostro cervello ci difende talmente bene che il nostro Pensiero, grazie all’ambiente in cui viviamo e al nostro corredo genetico, è come intrappolato, alla nostra coscienza sottraiamo la verità se questa è negativa e potenzialmente distruttiva per le nostre strutture cerebrali. La personalità di un individuo, sia esso un terrorista, è talmente complessa che esso può decidere di persuadere un soggetto debole in modo che questi concluda una certa prassi secondo le sue direttive, oppure nel caso dello stesso soggetto debole, come sia esso un kamikaze, possiamo attenderci che preferisca irrazionalmente un pensiero altrui dominante anche se vorrà dire andare contro se stesso.

In ogni caso, confermata dalla cronaca, la condizione dell’estremista sembra essere quella che vedrebbe l’istigazione all’odio inibire la libera scelta di agire, in modo che anche l’orientamento più laico possa sfociare in una disfatta relativa in termini di democratizzazione e in termini assoluti di diritto alla vita.

Condizione ancora più aggravata dalla soppressione della cultura e della memoria, come sosteneva Arendt. La distruzione di Palmira ne fu un classico esempio, come se non avendo un passato gli attentatori dell’Isis credessero che all’unanimità il mondo avrebbe aderito al credo della violenza.

La Storia come la mente umana ha la tendenza a ripetere gli errori fatti. Mi viene in mente quando Hitler decise di far risuonare nei campi di prigionia le composizioni di Wagner, con il risultato che a causa di questo uso improprio Israele decise per lungo tempo di eliminare dalla storia della musica Richard Wagner e dalla storia le sue idee antisemite.

Il motivo era plausibile: la mente aveva associato le sue musiche a quel che era avvenuto, l’esecrabilità di quelle convinzioni erano state talmente radicate nella memoria identitaria di quel popolo ferito da non poter concepire neanche l’idea di riascoltarlo. Fortunatamente con il passare del tempo ci fu una netta scissione tra quel che era avvenuto e la musica di uno dei compositori più rivoluzionari del Novecento, tanto che le orchestre cominciarono a studiarlo. Auspicabile sarà che l’Europa non faccia lo stesso errore nei confronti dell’Islam: una delle condizioni dell’esistenza è che anche il terrorista non sia nessuno senza l’Altro, per quanto egli cerchi di distruggerlo.