lLi potevano chiamare "gli angeli del fango", ma sarebbe stata una definizione troppo generica, che non avrebbe reso omaggio alla cosiddetta livornesità: sono loro, i "bimbi motosi", perchè a Livorno il fango viene chiamato mota, l'esercito di ragazzi, per lo più studenti di un'età all'incirca tra i quindici ed i vent'anni che, immediatamente dopo il nubifragio, si sono riversati sulle strade con pale, picconi, secchi e tutto quello che sono riusciti a recuperare, e sono andati casa per casa, nelle zone più disastrate, a chiedere se c'era bisogno di aiuto, offrendo il loro lavoro, la loro fatica, i loro (per molti) ultimi giorni di vacanza e, soprattutto, la loro voglia di fare e di sacrificarsi.

Chi scrive, che ha operato nelle strade in questi giorni, da un lato per il ruolo che ricopre, da un altro per quel profondo legame affettivo che lega ogni livornese alla propria città, un legame difficile da spiegare e che può essere banalmente sintetizzato nel detto "salmastro nelle vene, fisìo da scoglio...", li ha visti arrivare ogni giorno, ragazzi e ragazze, bussare in ogni casa e chiedere, con il garbo e la timidezza degli adolescenti, "C'è bisogno di una mano?". Hanno spalato fango, hanno svuotato garage e scantinati, hanno creato catene umane per cercare di salvare tutto ciò che era possibile salvare da una tragedia che non sarà dimenticata. Si sono messi a disposizione del dispositivo di protezione civile con un impegno ed un'abnegazione con pochi precedenti.

Si legge, da qualche parte, che sono stati anche criticati perchè magari, durante qualche breve pausa, sono stati visti farsi i famigerati "selfie" con i telefonini, per condividere quello che facevano sui social network, per farlo magari sapere agli amici: sono critiche che lasciano il tempo che trovano. La livornesità, e la toscanità più in generale, non ha mai potuto prescindere, neppure nelle circostanze più drammatiche, di un momento per il sorriso e per l'ironia: è un modo, magari difficile da comprendere per qualcuno, per esorcizzare l'accaduto, rialzare la testa, e ricominciare più forti di prima.

Una canzone di Giorgio Gaber è intitolata "La mia generazione ha perso": sicuramente non è per questi ragazzi, spesso denigrati per la loro apatia e la loro mancanza di motivazione. La loro generazione ha vinto, ha vinto con l'altruismo, ha vinto contro la cultura del "m'importa assai" e degli egoismi, ha vinto con l'esempio.

Si dice spesso che l'educazione, il rispetto dei valori fondamentali, lo spirito di sacrificio siano un retaggio dei più anziani, dei "vecchi": in questa circostanza la situazione si è ribaltata, l'esempio è venuto dai più giovani.

Oggi, dopo una settimana, Livorno sta, lentamente, riacquistando il suo vecchio volto, anche se passerà ancora molto tempo prima che la ferita si rimargini. Merito di molti, della protezione civile, delle Forze Armate e di Polizia, delle associazioni di volontariato che hanno operato sul territorio, ma il ringraziamento più profondo va soprattutto a loro.

Grazie di cuore ed in bocca al lupo, bimbi motosi.