Esiste una Calabria misteriosa che, dai fasti della "Magna Graecia" fino alla frammentaria stagione che coincide con il basso medioevo, ha lasciato di sé tracce flebili, avvolte da un'alea d'incertezza, di vaga suggestione. Non si narra perchè i segni non possiedono una memoria: sono immagini, materia che s'impone silenziosa. Eppure, incombente. Tra questi segni, la chiesetta detta di "Santa Ruba" (originariamente ruga o rupe) lascia incantati i viandanti sulla strada tra Vibo Valentia e San Gregorio d'Ippona.

Il dibattito sulla datazione: dal mistero all'iperbole grottesca

L'immagine esterna non lascerebbe dubbi: X o più probabilmente XI secolo d.C. E' evidente per l'impianto planimetrico basilicale, le strutture in elevazione, i materiali, la fattura del conglomerato, l'abside bizantina che fronteggia l'unica navata, la cupola che svetta su un tamburo angolare. Il celebre archeologo Paolo Orsi la definì "gioiello di origine bizantino-basiliana con architettura barocca": Si riferiva al contesto architettonico d'origine che venne integrato, successivamente, da rifacimenti di matrice barocca che costituiscono l'interno del luogo di culto. La dichiarazione di Orsi, anche solo per l'autorevolezza dell'autore, non può essere posta in discussione.

Eppure, Gregorio Vaianella ha sostenuto che la chiesa sarebbe stata eretta nei primi del '600 ad opera di un notaio vibonese, Ottavio Giovane. Ardisce quest'ipotesi sulla base di documentazione reperita presso fondi d'archivio che attesterebbero accordi per la costruzione di un oratorio in località Santa Ruba. Senza entrare nel merito delle ricerche, emerge una chiara discrasia deduttiva dal rapporto tra le evidenti caratteristiche architettoniche dell'edificio e la datazione proposta da Vaianella.

Sovviene un celebre ragionamento di Bertrand Russel a proposito di come possano sorgere clamorosi equivoci lasciandosi guidare da un male interpretato rapporto causa-effetto: se un pollo riceve giornalmente il mangime ogni volta che l'allevatore attraversa l'aia, sarà portato a credere all'esistenza di una relazione causale tra i due eventi.

Ma un giorno l'allevatore attraverserà l'aia per tirargli il collo.

Quel che è peggio è che la datazione suggerita da Vaianella è stata posta a base della scheda d'archivio sull'edificio presso la soprintendenza ai beni architettonici di Cosenza. Viene da dire: "Quando il saggio indica la luna..."

L'atmosfera come attributo estetico. Ma solo all'esterno

Rimanendo fedeli all'inquadratura storica di Paolo Orsi, si avverte, passeggiando lungo il perimetro esterno della chiesetta, la presenza di una memoria muta, arroccata ai margini del flusso sfocato del tempo: l'abside e la cupola costituiscono un messaggio perenne per il visitatore. Come se quel pezzo di storia antichissima fosse ancora capace di comunicare la sua essenzialità di edificio sacro, di "casa del Dio".

Varcando la soglia d'ingresso le aspettative sono molte. Ma rimangono deluse: lo stile del restauro è così innovativo che si pone ben oltre la constatazione di un ibrido. Paraste, fregi, intonaco, colore, restituiscono una luce vivace che priva dell'atteso afflato contemplativo. Si prova perfino disagio nell'addentrarsi verso lo spazio dell'abside, abbandonato rifugio da quell'esplosione di stile carico e raffazzonato. La scheda tecnica del restauro indica: "Restauro strutturale a seguito dei danneggiamenti subiti dal terremoto del 1905 e dell'incuria del tempo." L'intervento è datato 1977. Anche in questo caso non si può evitare una critica. Ma occorrerebbe vedere i reperti fotografici dell'epoca prima di giudicare severamente.

Forse più severamente di quanto si è appena detto.

La cripta nella roccia

Unica consolazione la teca che contiene i poveri resti appartenenti, probabilmente, ad un monaco eremita che visse fino a tarda età un'esistenza consacrata all'ascesi. E' conservata all'interno di una grotta di origine carsica che ripaga ampiamente dello scuotimento vissuto poco prima. L'anfratto calcareo si trova nel locale laterale al corpo principale dell'edificio, in quello che dovette essere l'oratorio citato da Vaianella e che probabilmente è la matrice di tutti gli equivoci sorti.