Si sono intensificate negli ultimi giorni le richieste per abolire il regime carcerario 41 bis, il cosiddetto 'carcere duro' per i detenuti che si sono macchiati del reato di mafia e terrorismo. Già dopo la morte di Provenzano erano comparsi articoli e si erano levate voci contrarie a questo tipo di detenzione, ad esempio su Panorama era apparso un articolo molto critico, perché il boss corleonese era gravemente malato e "non ci stava più con la testa", ma gli è stata comunque negata la richiesta di uscire dal carcere per le cure; secondo Panorama era inumano e vendicativo il comportamento dello Stato, richiamato anche dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo.

Questa richiesta si è fatta più insistente negli ultimi giorni dopo la morte di Riina nel carcere di Parma, perché secondo l'opinione di alcuni era il "capo dei capi" corleonese la vera minaccia, ma ora che non c'è più il pericolo è scampato e non ha più senso la norma carceraria voluta dal giudice Falcone ed entrata in vigore a cavallo delle stragi di Capaci e via D'Amelio.

Quanto è stato affermato è la realtà? Ciò che viene chiesto per i mafiosi vale anche per i terroristi o vengono fatte delle differenze? Molti dimenticano che in vita ci sono ancora personaggi feroci, come un altro boss di Corleone, il cognato di Totò Riina Leoluca Bagarella, detenuto dal 1995, esponente di spicco dell'ala stragista di Cosa Nostra, oppure il superlatitante Matteo Messina Denaro, la primula rossa di Castelvetrano, anche lui di parte corleonese su cui pendono vari mandati di cattura per le stragi del '92-'93.

Eppure la loro crudeltà è nota: il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca nel libro-intervista "Ho ucciso Giovanni Falcone" di Saverio Lodato racconta di come Bagarella abbia ucciso tante persone con le proprie mani, di come le abbia fatte arrostire sulle graticole o sciolte nell'acido; il boss di Castelvetrano invece in un pizzino raccontava ad un altro affiliato che con tutte le persone ammazzate da lui ci potrebbe fare un cimitero.

Non bisogna dimenticare i detenuti di 'Ndrangheta, di Camorra, Sacra Corona Unita e gli altri affiliati di Cosa Nostra, i quali esercitano il controllo del territorio con l'uso dell'intimidazione e della violenza e gestiscono traffici illeciti a livello nazionale e internazionale.

L'altro aspetto contraddittorio è l'uso di due pesi e due misure al riguardo: quando si tratta di terroristi non valgono gli stessi argomenti utilizzati per i mafiosi; l'esempio è la brigatista Nadia Desdemona Lioce, al 41 bis per alcuni omicidi, tra cui D'Antona e Marco Biagi, che si è lamentata del regime carcerario, ma in tal caso giornali come Panorama hanno quasi sbeffeggiato la donna e non hanno invocato l'abolizione di nessun regime carcerario.

E per i terroristi di Al Qaeda rinchiusi nelle nostre carceri sottoposti al 'carcere duro'? Neanche una parola.

Il 41 bis è una misura per mettere criminali pericolosi in condizione di non nuocere alla comunità, di non dare ordini dal carcere, anche se le comunicazioni con l'esterno in alcuni casi incredibilmente sono avvenute, come hanno riscontrato alcune indagini; ci sarebbe da rinfrescare la memoria a chi ha dimenticato che cos'era il carcere di Palermo prima del reato di associazione mafiosa e del 41 bis, chiamato "Grand Hotel Ucciardone", da dove i boss continuavano a comandare, ad ordinare omicidi e lo utilizzavano a proprio piacimento. La norma introdotta nei primi anni '90 ha messo fine a tutto questo, anche nella speranza che i mafiosi collaborassero con la giustizia per la ricerca della verità sui tanti misteri italiani, speranza in diversi casi fondata.