La musica ha avuto da sempre un'incredibile influenza nell’esistenza di ogni essere umano, generando vere e proprie filosofie di vita. Dal blues di Chicago e New Orleans per arrivare al jazz, al brit-pop inglese, fino all'avvento del rock e dei suoi infiniti sottogeneri. La potenza delle melodie sprigionate da una cassa, dagli auricolari di un lettore musicale qualsiasi riaccende i neuroni, stimola l'aumento di dopamina, l’ immaginazione e la creatività, ma soprattutto sprigiona nuovi stati d’animo e comportamenti. Nell’ascolto di una canzone si inventano storie mai esistite, o se ne ricordano una miriade, associate a un determinato periodo della vita, ad amori caduti nell’oblio o ad adolescenze problematiche, cui guardiamo, oramai maturi, con sorriso.

La musica è un’oasi di emozioni, la cui sorgente disseta le nostre aspettative d’amore esistenziale; colora la vita, una giornata uggiosa.

Quanto può essere determinante una melodia nella storia del pensiero umano?

La musica ha il potere di modellare l’estetica e il pensiero di intere generazioni ed epoche storiche. La musica ha ispirato poeti, pensatori e scrittori. Per ricordarne uno dei più recenti, Nietzsche, nella stesura del capolavoro “La Nascita della tragedia” fu probabilmente ispirato dall’influenza del romanticismo musicale del compositore Wagner, con il quale, per un certo periodo, intrattenne una grande amicizia.

Una delle più grandi rivoluzioni culturali mai avvenute nella storia del pianeta è quella degli anni ’60 e ’70, l’età delle grandi contestazioni studentesche, della critica verso qualunque forma di “potere” e cultura costituiti.

Si tratta di un’epoca in cui ebbe la luce una vera e propria “cultura del ribelle”, dove essere “ribelli” e trasgressivi aveva un senso, a differenza dei tempi odierni, dove la “trasgressione” è diventata prassi e conformismo. Allora, essere rivoluzionari significava rompere con il passato, un vecchiume spesso segnato dal conservatorismo culturale; dal sistema autoritario che vigeva nelle università di tutto l’Occidente, dal dispotismo di un padre convinto che le donne dovessero indossare gonne e che non fossero adatte a frequentare l’università (ma solo all’arte della cucina), fino al giovane lavoratore ricattato dall’imprenditore, a quei tempi chiamato “padrone”.

La contestazione, come altri innumerevoli momenti storici, è stata accompagnata da colonne sonore altrettanto significative. Se i Beatles hanno segnato la storia del pop, i Rolling Stones insieme a Jimi Hendrix, David Bowie o gruppi quali i Led Zeppelin, e altri nomi importanti della musica hanno stravolto la percezione del mondo della musica, “inasprendone” i toni, ma senza perderne l’armonia, introducendo nuove melodie, comportamenti disinibiti e, per l’appunto, nuove filosofie di vita.

Se per “filosofia” non intendiamo un concetto strettamente accademico e libresco, ma piuttosto la teorizzazione di una corrente di pensiero che propugna un certo stile di vita, allora si può parlare di “movimenti culturali” dei quali la musica costituisce una componente essenziale. Per la varietà di generi e sottogeneri, il rock (nel senso ampio del termine), non costituisce una semplice differenziazione tecnica per la predilezione della chitarra. Esso può essere definito come la prima forma sonora ed estetica del dissenso moderno, come germe fondamentale nella rivoluzione culturale rappresentata dalle contestazioni studentesche. Questo genere non è chiuso in sé stesso, ma ibrido, fluido, favorevole alle contaminazioni, tant’è vero che John Lennon potrebbe tranquillamente essere definito pop e rock nel medesimo tempo.

Proprio questo pluralismo ha favorito la nascita di correnti più “introspettive”. Dall’hard rock classico, negli anni ‘70 è nata la sub cultura o movimento Punk, che in inglese letteralmente significa “scarso, di bassa qualità”, per la musica rozza, rumorosa e ribelle che lo contraddistingueva. Fra i suoi principali esponenti vi sono il celebre gruppo dei Sex Pistols, gli Stooges, i Ramones, i Talking Heads, i Television, e altri nomi. Da un punto di vista “filosofico”, i punks delle origini si dichiaravano nichilisti, sprezzanti verso l’umanità e il sistema. Caratteristiche del punk delle origini erano l’abbigliamento borchiato e la cresta, il famigerato “sputo” sui marciapiedi, la violenza fisica e la trasgressione in generale (consumo di alcool, droghe leggere ecc.).

Si tratta di attitudini che il movimento, col passare degli anni, ha ridimensionato per volontà dei suoi stessi “cultori”, sempre più inclini al punk-rock (David Bowie, The Stranglers, The Adicts, Buzzocks ecc.), una versione più annacquata nei toni e nell’esibizionismo. Dal punk-rock sono partite altre infinite diramazioni, che un lettore comune si annoierebbe a leggere. Un’altra corrente interna al movimento punk è quella dello Straight Edge, un movimento molto più “politicizzata” che rifiuta il consumo di alcolici e droghe, in quanto considerati prodotti della società di consumo.

Sulla stessa scia anti-consumistica (ma favorevole alle droghe leggere) è nato il movimento hippy, molto più incentrato sul tema dell’impegno sociale e della critica rivolta al mondo borghese.

Per le caratteristiche di trasandatezza estetica e per la polemica sociale, essi fanno spesso riferimento al movimento letterario della scapigliatura e del decadentismo francese. Costoro, spesso in abiti molto colorati e con lunghe capigliature, si definivano (e si definiscono tutt’ora) pacifisti e seguaci del pensiero di uomini “illuminati” quali Gesù Cristo, Che Guevara, Gandhi, Buddha, Francesco d’Assisi ecc. Si tratta di una corrente molto vasta, dove è possibile ritrovare cristiani, buddhisti o gente interessata alla dimensione spirituale. Il sottogenere preferito di questa corrente è il rock psichedelico, così definito in quanto suonato o composto da musicisti in preda a percezioni extrasensoriali, allucinogene e “spirituali”, dettate dall’uso di droghe quali i funghi allucinogeni, la mescalina e l’ LSD.

Da un punto di vista filosofico, essi sono spesso attivi nel mondo politico e della contestazione (come alcuni punk) e propugnano il ritiro dell’uomo in comunità più eque e giuste, le cosiddette “comuni”, villaggi isolati (e tutt’ora esistenti) in buona parte dell’Occidente, dove i suoi abitanti praticano il pacifismo e l’ambientalismo, un consumismo meno sfrenato e la vita di comunità.

Questi sono soltanto i movimenti principali che hanno caratterizzato la “rivoluzione” culturale del rock, per quanto non pochi aspetti di queste correnti possano risultare contraddittori o eccessivi per i parametri di numerosi lettori, eppure hanno segnato la storia culturale della seconda metà del Novecento.

È possibile una rivalutazione filosofica delle subculture musicali come presupposto ideologico per un miglioramento della società?

Tralasciando gli aspetti più “autolesionisti” o consumistici inerenti alle droghe, questi movimenti hanno lanciato messaggi importanti dal punto di vista etico. Se John Lennon, attraverso “Imagine” diceva No alla guerra, allo stesso modo il brano “Peace on Earth” di David Bowie racchiudeva le seguenti parole, “Pace in terra può esserci. Negli anni a venire forse vedremo, vedremo il giorno di gloria, quando gli uomini di volontà vivranno in pace”. Gran parte degli artisti internazionali si espressero contrariamente rispetto a fenomeni imperialistici quali la guerra del Vietnam voluta dagli Usa.

Inoltre, la componente ribelle, per quanto possa risultare banale e superficiale nelle sue degenerazioni, ha assunto una funzione dialettica rilevante nella messa in discussione di un sistema dove l’obbedienza era un principio troppo spesso dato per scontato. Trasgredire, “andare oltre”, non era un concetto limitato all’uso di sostanze stupefacenti; esso significava trascendere i pregiudizi rompendo drasticamente con essi, dunque, per esempio, con la discriminazione nell'ambito di genere, dell'omofobia e del maschilismo. Si può dunque asserire che queste correnti sono rivalutabili, se considerate negli aspetti inerenti alla pars construens della critica sociale (contestazione, teorizzazione di modelli di società alternativi ecc.).

Quali differenze contenutistiche vi sono tra la musica di oggi e quella del secolo precedente?

Quanto al “contenuto”, ogni epoca storica ha sicuramente prodotto brani in cui vi fossero sia contenuti leggeri, allegri e “spensierati”, sia di un certo spessore culturale. Il nuovo secolo e la crisi sociale in atto potrebbero seminare i presupposti per una rinascita della musica di contestazione, ma solo se accompagnata da una riemancipazione culturale degli individui. Difficile, per il momento, auspicare una nuova rivoluzione dove musica e filosofie di vita possano tornare a vivere insieme.