Ore caldissime quelle che vissute dal mondo politico italiano: la crisi del governo Letta ha subito un'accelerata nella giornata di ieri, dopo le dimissioni da parte dei parlamentari del PDL e le dichiarazioni minatorie di diversi componenti del partito di Berlusconi.

Dopo il viaggio diplomatico negli Stati Uniti, è stato un venerdì pregno di incontri per il premier Letta: prima Franceschini, a seguire Alfano, per chiudere con Epifani. Impegni preliminari a quello avvenuto in serata: il capo del Governo incontra Giorgio Napolitano che, come ampiamente palesato durante la giornata, si mostra fortemente infastidito dall'atteggiamento dei membri del PDL.

Il Consiglio dei Ministri successivo non prende nessuna decisione: la tensione è alta, il botta e risposta è serrato con i ministri del PDL presenti. Il rinvio dell'aumento dell'IVA e le altre decisioni economiche divengono questioni improvvisamente inaffrontabili: nel comunicato successivo diramato dalla Presidenza del Consiglio, Letta chiederà espressamente un 'chiarimento politico e programmatico tra le forze della maggioranza'.

La risposta di Alfano non si fa attendere: "Non ci saranno chiarimenti senza aver affrontato la questione giustizia: è inutile continuare a scaricare le responsabilità sul PDL rispetto ad un'eventuale crisi. E' il PD che tra congresso e accanimento antiberlusconiano ad aver messo il governo in questa situazione".

I prossimi sviluppi vedono una nuova fiducia votata alle Camere: già lunedì Letta potrà chiedere il voto per capire se ci sono ancora i margini per tenere in piedi l'esecutivo. Lo scenario è complicato: un ritorno alle urne con l'attuale legge elettorale comporterebbe con ogni probabilità una nuova situazione di ingovernabilità come quella riscontrata dopo le elezioni dello scorso febbraio.

Una seconda alternativa è di un Letta-bis con diversi parlamentari del PDL pronti a passare dall'altra parte. 

Intanto Napolitano starebbe studiando una contromisura per evitare conseguenze nefaste per il Paese: l'ipotesi è quella di un governo di scopo con l'unico obiettivo di mettere mano al cosiddetto Porcellum. Eventualità che il capo dello Stato deve iniziare a valutare seriamente.