La cosiddetta Web tax, chiamata anche Google tax, un emendamento alla legge di stabilità datato 12 dicembre che, nelle intenzioni del governo Letta, dovrebbe colmare quei vuoti normativi che consentono ai giganti del web di vendere pubblicità on line in Italia eludendo il fisco del nostro paese, è stata modificata nella notte tra il 17 e 18 dicembre dalla commissione bilancio della Camera.

Le pressioni su questo tema, provenienti dal web ma anche dallo stesso Matteo Renzi e dal suo entourage, (“Chiediamo al governo di eliminare ogni riferimento alla web tax e porre il tema dopo una riflessione sistematica nel semestre europeo” aveva dichiarato il sindaco di Firenze) erano notevoli visto che la prima stesura del provvedimento era apparso ai più un improbabile tentativo autarchico con ogni probabilità inapplicabile ad una realtà multiforme e in costante cambiamento come il world wide web.

Il neosegretario del Partito Democratico avrebbe voluto completamente stralciare il provvedimento dalla legge di stabilità, per ripensarci con calma e con un respiro più europeo dopo il semestre di presidenza italiano della UE. Ma è riuscito a portare a casa ‘soltanto’ una modifica che prevede che la Partita Iva sia obbligatoria solo per quelle aziende che vendono pubblicità e per il diritto d’autore, obbligo che originariamente era esteso a tutte le vendite effettuate online.

Non estranee a questa revisione anche le pressioni della stampa internazionale, che con testate come ‘Forbes’ e il ‘Financial Times’ era arrivata a definire illegale l’emendamento. La legge di stabilità così rivista è quindi attesa nell’aula di Montecitorio già a partire da questo pomeriggio, per proseguire nel suo iter verso l’approvazione che la dovrebbe vedere entro Natale anche al Senato.