Il Partito democratico perde il pelo ma non il vizio; da una vita va dicendo di non volere questa legge elettorale, che il porcellum è una porcata, che bisogna ripristinare le preferenze, che le liste bloccate sono un limite della democrazia e che il premio di maggioranza è incostituzionale, ma non ha mai fatto passi concreti e decisi per promuovere e sostenere una vera riforma elettorale. Anzi tutt'altro, nelle poche e rare occasioni in cui se n'è potuto giovare non ha battuto ciglia e ne ha sfruttato fino in fondo i vantaggi conseguenti.

Pur avendo avuto quasi sempre una consistente  rappresentanza parlamentare non ha mai dimostrato la propria determinazione per cambiare la legge.

Oggi finalmente sono usciti allo scoperto e di fronte alla determinazione del segretario  Renzi è venuta fuori in tutta evidenza chi è che non ha voluto e non vuole l'approvazione di una nuova legge elettorale.

E' significativo il fatto che, sia pure per motivi diversi, la minoranza del Pd e i partiti minori si stanno adoperando per il fallimento della nuova iniziativa legislativa. Mentre può essere concepibile la resistenza dei partiti minori che temono di essere estromessi dal parlamento da una soglia  di sbarramento superiore al 4% non e' altrettanto concepibile il comportamento della minoranza del Pd che ha sempre, a ragione o a torto, boicottato i provvedimenti legislativi in cui era preminente la presenza sia fisica che parlamentare di Silvio Berlusconi.

In altre parole un provvedimento che vedeva coinvolto il leader carismatico del centrodestra  era perciò stesso da affossare. Neppure l'irruenza e l'esuberanza del segretario Renzi è riuscita a convincere i dissidenti del Pd che un partito per essere partito di governo deve avere la capacita' di dialogare con tutti e non considerare l'avversario politico un nemico da distruggere.

Tale era ed è la concezione Bersaniana e tale si sta dimostrando in questi giorni la posizione della minoranza rappresentata da Cuperlo.

In verità credo che  dietro questa minoranza ci sia anche il sostentamento occulto di alcuni capi storici del partito che non vedono di buon occhio la forte personalità del giovane segretario Renzi, che possiamo dire senza ombra di dubbio rappresenti la nuova destra del partito democratico.

Renzi non fa mistero di una visione più ampia dell'azione  riformatrice del partito e non pone paletti alla sua iniziativa dialogante con tutte le forze politiche. Egli sa  prima di tutto che per ottenere molto bisogna concedere qualcosa e sa pure che, fino ad oggi, proprio la presunzione di voler far tutto e da soli ha relegato il partito in un isolamento politico che lo ha portato, sia pure conquistando la maggioranza dei voti, alla sconfitta nell'ultima tornata elettorale. A nulla è servito il grandissimo premio di maggioranza tanto vituperato ma accettato e Renzi non vuole più fare una fine del genere. Il Pd non lo vuole riconoscere che Renzi ha fatto ciò che nessuno ha mai avuto il coraggio di fare e cioè  trattare con l'unico interlocutore possibile che gli può  assicurare il successo della riforma elettorale.

Renzi sa bene e credo lo abbia considerato, o meglio messo in preventivo, che  è meglio dialogare con uno come il Cavaliere, sia pure avversario, piuttosto che con cento apparentemente amici. Se si è ricattati da uno si può sempre trovare la quadra ma se si è ricattati da cento non si può pretendere di accontentarli tutti senza subirne la forza d'urto.

Va comunque dato atto al giovane segretario del Pd di aver imposto al suo partito le regole del gioco che se dovessero essere disattese farebbero sprofondare il partito nella stessa situazione di Bersaniana memoria o anche peggio. Oggi nessuno sarebbe disposto a perdonare un fallimento della legge elettorale e proprio per questo il sindaco di Firenze ha minacciato la caduta del governo se il suo partito dovesse sabotare la sua iniziativa.