Il sistema giudiziario italiano non funziona. Sono otto milioni i processi civili e penali pendenti. Il Ministro della Giustizia dichiara che la situazione è grave e che, comunque, spetta al Parlamento intervenire per un provvedimento di concessione dell'amnistia e dell'indulto.

Forse è utile spiegare che con l'amnistia si cancella il reato, mentre con l'indulto si estingue in tutto oppure in parte la pena.

Le tante riforme fatte in questi ultimi decenni non hanno dato i frutti sperati. La riduzione del personale di cancelleria, con il blocco del turn over, ha inciso negativamente sullo stato di salute del sistema giudiziario.

Le strutture carcerarie sono sature e le controversie civili durano decenni: l'Europa ci guarda ed è pronta ad intervenire.

E' giusto risolvere tutto cancellando reati e pene, concedendo l'amnistia e l'indulto? Certamente no. Sono necessarie riforme incisive nel settore civile, in quello penale ed anche in quello della giustizia amministrativa.

Il processo civile si fonda sul principio della piena disponibilità delle parti, l'attività o  la mancata attività delle parti determina i tempi del processo e, perfino, la sua estinzione. Spesso i ritardi processuali sono voluti dalle stesse parti, soprattutto dai "convenuti", cioè dai soggetti chiamati in giudizio dall'attore che promuove la causa.

Gli ultimi interventi legislativi hanno cercato di mettere dei paletti, stabilendo termini processuali perentori entro i quali le parti devono svolgere alcune attività. 

L'informatizzazione del processo civile, già in fase di avvio, dovrebbe ridurre la durata della cause ma la vera e decisiva riforma potrebbe essere quella di abolire il principio della "disponibilità delle parti".





Promossa la lite, dopo un tentativo di conciliazione fatto dal Giudice, i tempi processuali, indicati perentoriamente dalla legge, dovrebbero essere gestiti dal magistrato. Inoltre, sarebbe opportuno prevedere sanzioni pecuniarie per il difensore che promuove una causa temeraria. Ciò avviene quando, pur in presenza di elementi di fatto e giuridici  tali da far ritenere palesemente ingiustificata la domanda (la pretesa nei confronti della parte avversa), la si propone ugualmente.

Vi sono, infine, alcune procedure che richiedono, oggi, l'ntervento del magistrato, pur non essendo cause. Esse sono quelle definite di "volontaria giurisdizione", come l'ammortamento per un libretto di deposito smarrito o rubato, la registrazione di un giornale ed altro ancora. In effetti, in questi casi, l'istante deve chiedere al giudice di pronunciarsi su una sua richiesta ed il provvedimento finale del giudice, previsto dalle norme, perfeziona un iter più burocratico che giurisdizionale. Queste procedure potrebbero essere affidate ai funzionari giudiziari, dando più tempo ai magistrati di dedicarsi alla definizione della cause civili.

Per ridurre i processi penali, si dovrebbe ricorrere ad una depenalizzazione dei reati.

In questi giorni, per esempio, il Parlamento si sta occupando del reato di clandestinità. Molte fattispecie potrebbero  essere considerate illeciti amministrativi con la previsione di sanzioni amministrative. Tali sanzioni, come il fermo dell'autovettura e la sospensione della patente, in alcuni casi, si rivelano più efficaci della sanzione penale.

La depenalizzazione avrebbe effetti positivi anche sul sovraffollamento delle carceri.  

Anche nel settore penale si potrebbero affidare alcuni compiti ai funzionari giudiziari. Per esempio, il decreto penale di condanna è un provvedimento con il quale il giudice applica soltanto una sanzione pecuniaria senza sentire l'imputato, che può opporsi nei quindici giorni successivi alla notifica e far nascere un ordinario processo penale.

La prima fase potrebbe essere gestita dai funzionari.

I giudici, ritengo, che siano numericamente sufficienti, mentre la struttura amministrativa di supporto all'attività giurisdizionale ha bisogno di nuovo personale, altrimenti qualsiasi riforma è destinata a naufragare.