Ambire all'autodeterminazione dei popoli, delle etnie, delle enclavi, delle regioni, giù giù, sino alla riunione di condominio con secessione della scala "A" dalla scala "B", sembra essere diventata un'impellente necessità indifferibile. L'ultima ventata secessionista/annessionista in ordine di tempo arriva dalla fredda Alaska.
Le motivazioni geopolitiche alla base della petizione sembrano, tuttavia, piuttosto inconsistenti. Dire - come citato nel documento propositivo archiviato sul sito della Casa Bianca - che furono "gli antichi siberiani russi" ad attraversare lo stretto di Bering ed a colonizzare quella parte del continente americano, è come sostenere che subito dopo l'ultima era glaciale esistesse una popolazione "politicamente identificabile in uno Stato sociale" in quella che poi diverrà, millenni dopo, la Russia.
Certo, i primi europei ad esplorare l'Alaska nel 1732 furono proprio i russi, ma si trattò di una colonizzazione affatto stanziale e piuttosto commerciale. Più autorizzati dei russi a riprendersi l'Alaska sarebbero le popolazioni autoctone quali i Kutchin o gli Aleutini.
Difficile poi credere che gli USA si lascerebbero soffiare da sotto il naso (certamente non dagli indipendentisti e meno che mai dai russi) le risorse naturali celate nel sottosuolo dell'Alaska: petrolio greggio, gas naturale, carbone, oro, metalli preziosi, zinco ed altri minerali.
Impossibile immaginarsi, infine, i militari a stelle e strisce abbandonare, con la coda tra le gambe, le numerose basi militari dopo l'ipotetico referendum, come accaduto per le guarnigioni ucraine nel territorio della Crimea.