Non bastava il referendum in Crimea con annessione alla Russia, il referendum consultivo veneto per l'indipendenza dall'Italia, il referendum, fresco fresco, della Lombardia sulla falsa riga del Veneto, la richiesta di vendita alla Svizzera della Sardegna, il prossimo referendum indipendentista della Scozia.


Ambire all'autodeterminazione dei popoli, delle etnie, delle enclavi, delle regioni, giù giù, sino alla riunione di condominio con secessione della scala "A" dalla scala "B", sembra essere diventata un'impellente necessità indifferibile. L'ultima ventata secessionista/annessionista in ordine di tempo arriva dalla fredda Alaska.

Sul sito della White House è stato pubblicato un documento con annessa petizione che richiede l'annessione dell'Alaska alla Russia. La petizione ha raccolto nell'arco di un paio di giorni 7500 firme (all'incirca quanto le adesioni al progetto per vendere la Sardegna alla Svizzera racimolate su Facebook), non poche, considerando che gli abitanti dell'Alaska si aggirano sulle 740 mila unità, circa la metà delle quali risiedono nella zona metropolitana di Anchorage, centro principale di una regione che con i suoi 1.717.854 km² è lo Stato più grande di tutta la federazione degli Stati Uniti.


Nella petizione, messa in rete il 21 marzo, si chiede di votare per la secessione dell'Alaska dagli Stati Uniti e la sua annessione alla Russia; sono necessarie ancora 92.500 firme, da raccogliere entro il 20 aprile, solo così sarà possibile ottenere una qualche risposta dalle autorità degli Stati Uniti. Nel caso, piuttosto remoto, che la raccolta firme raggiungesse il tetto necessario e che un successivo referendum convalidasse la secessione, si tratterebbe di un ritorno nelle braccia della Madre Russia, dalla quale gli Stati Uniti acquistarono l'Alaska, nel 1867, per 7.200.000 dollari.


Le motivazioni geopolitiche alla base della petizione sembrano, tuttavia, piuttosto inconsistenti. Dire - come citato nel documento propositivo archiviato sul sito della Casa Bianca - che furono "gli antichi siberiani russi" ad attraversare lo stretto di Bering ed a colonizzare quella parte del continente americano, è come sostenere che subito dopo l'ultima era glaciale esistesse una popolazione "politicamente identificabile in uno Stato sociale" in quella che poi diverrà, millenni dopo, la Russia.

Certo, i primi europei ad esplorare l'Alaska nel 1732 furono proprio i russi, ma si trattò di una colonizzazione affatto stanziale e piuttosto commerciale. Più autorizzati dei russi a riprendersi l'Alaska sarebbero le popolazioni autoctone quali i Kutchin o gli Aleutini.

Difficile poi credere che gli USA si lascerebbero soffiare da sotto il naso (certamente non dagli indipendentisti e meno che mai dai russi) le risorse naturali celate nel sottosuolo dell'Alaska: petrolio greggio, gas naturale, carbone, oro, metalli preziosi, zinco ed altri minerali.

Impossibile immaginarsi, infine, i militari a stelle e strisce abbandonare, con la coda tra le gambe, le numerose basi militari dopo l'ipotetico referendum, come accaduto per le guarnigioni ucraine nel territorio della Crimea.