Da giorni a Hong Kong ci sono grandi manifestazioni. Il motivo di occupazioni di strade e piazze è la richiesta di un popolo al proprio governo di elezioni libere. Diverse banche, uffici e scuole nelle aree centrali della regione sono state chiuse. Le proteste sono la conseguenza di anni di limitazioni democratiche nella regione speciale della Cina, che derivano da una storia molto complicata che risale ai tempi coloniali del diciannovesimo secolo.

Il primo luglio 1997 terminarono i 156 anni di dominio coloniale britannico di Hong Kong, che divenne la prima Regione Amministrativa Speciale della Cina.

Questa autonomia, articolata su un sistema liberal-democratico è pesantemente condizionata da un regime comunista. Una dura repressione delle proteste porterebbe a compromettere l'immagine del governo di Pechino. Oltre ad una serie di conseguenze politiche inaspettate. I capi della protesta chiedono le dimissioni del capo del governo locale Cy Leung, altrimenti (l'ultimatum è per la mezzanotte di oggi) saranno occupati importanti edifici governativi.

Lo scontro fisico pare ormai inevitabile. La manifestazione ha preso il nome di occupy central e ha sostituito in termini di presenza le celebrazioni per la festa nazionale. Lester Shum, vice segretario della Federazione degli studenti, ha detto che il movimento è pronto ad accettare ogni opportunità di dialogare con il governo centrale di Pechino, ma Leung deve andare via.

Il capo del governo, come risposta, ha alzato un muro e poi ha celebrato la festa, brindando alla bandiera cinese mentre fuori migliaia di persone fischiavano e aumentavano la protesta fuori dall'edificio. Il governatore ritenuto colpevole sia della legge elettorale-truffa, che delle violenze del fine settimana ha inoltre difeso, per la prima volta, il suo suffragio universale pre determinato.

I leader cinesi hanno duramente criticato il governo di Hong Kong.

Anche perché la situazione rischia di degenerare nei rapporti con i Paesi vicini come Taiwan e il Tibet. Infatti se non si riesce a garantire democrazia a un piccolo territorio come quello di Hong Kong, figuriamoci in una realtà come quella tibetana che è grande quanto l'Europa occidentale.

E inoltre sarebbe il segnale del destino fallimentare di un'eventuale riunificazione con l'isola di Formosa: Taipei ha ormai compiuto il suo processo di democratizzazione.

Adesso il presidente Xi Jinping deve scegliere: o delegittima il partito e i suoi rappresentanti anticipando le elezioni del 2017 o va allo scontro con i manifestanti sotto l'occhio del mondo. Divisioni però si riscontrano anche nella "rivoluzione degli ombrelli": alcuni sostengono la resistenza passiva ad oltranza, altri chiedono di intervenire. Inoltre si pensa di istituire altri presidi allargando il fronte delle occupazioni. La storia farà il suo corso e in breve vedremo gli sviluppi. Di sicuro questo primo ottobre sarà ricordato; da una parte i giovani che protestano, dall'altra i vecchi compatrioti cercano di dissuaderli.