La storia insegna! Una sua attenta lettura potrebbe servire per evitare lo sventolare dei soliti proclami politici, almeno solo quello. Una formula semplice, con una soluzione troppo facile. No, meglio ripercorrere in corsi e ricorsi storici, le stesse cose, le stesse tematiche, gli stessi annunci e proclami. E' ciò che accade, come in un déjà vu, ancora oggi; primeggiano e vengono inneggiati, nel corrente dibattito politico, manovre di riforma e interventi nel mondo del lavoro. Forte e in modo dirompente, si sente spesso parlare di "riforme e lavoro". Uno storico déjà vu politico, rivissuto, senza pudore.

Una prima messa in scena di questo balletto dialettico fu probabilmente, l'occasione creata dalla riforma amministrativa voluta e avviata da Crispi nel 1887, che durò fino al 1890, andando oltre in questo excursus, si può ricordare l'età giolittiana, dove lo stato imprenditore faceva ufficialmente il suo esordio nella scena della gestione pubblica e ancora, ricordiamo, i più recenti sforzi di Massimo Severo Giannini, ministro della funzione pubblica, a ridosso degli anni '80. Tutte circostanze, vissute in momenti storici, certo, diversi, ma che hanno come comune denominatore, le riforme e il lavoro. Gli effetti successivi e gli eventuali buoni risultati di questi interventi di ristrutturazione del Sistema Statale, non si sono rivelati altro che la naturale e fisiologica esigenza e necessità di crescita civile e sociale di uno stato, di una nazione, non di certo un'innovazione nella proposta politica e ne tantomeno il frutto di un'attenta programmazione per il futuro.

In molti casi l'Italia è stata tra le ultime nazioni europee, a programmare e attuare alcune riforme, sempre, invece, puntualmente annunciate. In altri casi, una riforma, ma soprattutto la sua attuazione, non era altro che l'azione riparatrice, prodotta, dopo alcuni decenni di ritardo, alla mancata applicazione di una legge o di un provvedimento. Nella storia della politica italiana sono sempre stati presenti i proclami verso nuove riforme dello stato e del mondo del lavoro, come se ciò fosse un'eccezionale azione e capacità politica e non una naturale e attenta "mansione" della politica stessa.

Nei recenti decenni a cavallo fra la fine del secolo scorso e inizio del XXI, questi atteggiamenti si sono sempre più accentuati e addirittura hanno prodotto un immobilismo sconcertante. Finisce il 2014 e inizia il 2015 dipinto di nuove riforme e lavoro. La politica non è più la forza trainante della società ma quella frenante. La recente riforma del lavoro non è altro che l'ultimo evidente effetto di una politica asfittica e monotona. Piuttosto che risolvere un problema, si smantella direttamente il concetto stesso, quello del lavoro, in questo caso.

L'attuale dibattito che ruota intorno all'articolo 18, agli effetti della sua modifica, al job act e ai suoi futuri riflessi, è figlio della storia non letta. Diritti persi e diritti acquisiti. Riforme e lavoro, due concetti che dovrebbero essere solo cose certe e consolidate, base dello stato civile. Non ultima la questione di questi recenti giorni sulla riforma fiscale. Un balletto di annunci e proclami sul pacchetto di riforma del fisco che per "non ben chiari motivi" si procrastina al mese di febbraio. La storia, patrimonio di esperienze, non attecchisce nelle menti politiche italiane. Non s'impara dal passato, si distrugge il presente e si allude e illude il futuro. Riforme e lavoro, il déjà vu storico della politica italiana.