Con oltre 170 milioni di abitanti, la Nigeria è il Paese più popolato d'Africa, continente del quale è anche il maggior produttore ed esportatore di petrolio. A dipendere da questa risorsa è tutta l'economia del Paese, visto che il 40% del PIL nigeriano deriva proprio dall'estrazione dell'oro nero, con addirittura l'80% delle entrate dello stato che provengono dall'esportazione di petrolio. La vendita di questo combustibile fossile ai Paesi stranieri è inoltre un modo per approvvigionarsi in valute pregiate (dollari, euro), che possono essere spese per importare dall'estero.

L'improvviso crollo del prezzo del petrolio, sceso sotto i sessanta dollari al barile, ha rotto il circolo che teneva in piedi la fragile economia nigeriana, all'interno di un Paese nel quale la povertà fa il paio con le eterne guerre tra le numerose etnie che ne popolano il territorio, troppo spesso ridotte dai media occidentali ad una semplice rivalità religiosa tra musulmani e cristiani. La scarsa redditività del petrolio e l'interruzione delle importazioni da parte degli Stati Uniti, che non hanno acquistato greggio nigeriano sin dal luglio 2014, hanno anche causato un impoverimento delle casse dello stato in valuta estera, raggiungendo il minimo storico di 34 miliardi di dollari.

Altra conseguenza di tutto questo è stata la svalutazione della moneta nazionale nigeriana, la naira, che ha perso buona parte del proprio potere d'acquisto, passando in un anno da 160 a 250 nel cambio con il dollaro (in pratica, un dollaro può oggi acquistare 250 naire, mentre un anno fa ne poteva acquistare solo 160).

A tutto ciò si unisce il crescente tasso di povertà, che ha raggiunto il 70%, mentre una piccola fetta della popolazione si è arricchita proprio con i proventi del petrolio quando il suo prezzo ha superato i 100 dollari al barile, con naturale conseguente incremento del tasso disuguaglianza.

La situazione di crisi economica e di conflitto interno, di cui Boko Haram rappresenta solamente la punta dell'iceberg, mette in serio pericolo il potere del People's Democratic Party (PDP), il partito politico conservatore, liberale e filo-occidentale che governa ininterrottamente il Paese sin dal 1999.

Per queste ragioni, il presidente Goodluck Jonathan, salito al potere nel 2010 dopo la morte del suo predecessore Umaru Musa Yar'Adua, ha tentato di rimandare il più possibile la prossima tornata elettorale, nel tentativo di riacquistare la fiducia degli elettori. Al momento, la data è stata fissata per il 28 marzo, ma la costituzione renderebbe possibile un ulteriore spostamento fino a 28 aprile.

Attualmente, secondo i sondaggi, potrebbe verificarsi una clamorosa sconfitta del PDP sedici anni dopo la sua ascesa al potere. Muhammadu Buhari, dell'All Progressives Congress (APC), forza che aderisce all'internazionale socialista, potrebbe spodestare Goodluck Jonathan, con il suo programma che prevede anche un'accentuazione dell'aspetto federalista della costituzione nazionale, per dare ulteriori autonomie alle entità che compongono il Paese e cercare di sedare le lotte intestine. Restano però i dubbi sulle politiche economiche che applicherebbe Buhari una volta arrivato al potere. La Nigeria, infatti, è, come abbiamo spiegato in precedenza, eccessivamente dipendente dalle economie straniere, e proprio per questo si renderà necessario, indipendentemente dal nome del futuro presidente, trovare un compromesso con i Paesi occidentali, che naturalmente promuoveranno nuove ricette liberiste.