Per il secondo giorno consecutivo aerei dell'Arabia Saudita hanno condotto raid sullo Yemen, e si comincia a temere l'avvio di una guerra regionale, con l'Iran da una parte e le monarchie del Golfo dall'altra.

Da giovedì sera dieci Paesi - del Golfo e del Maghreb - hanno deciso di coalizzarsi in una operazione denominata "Decisive storm", con l'intento di respingere quello che considerano un "colpo di Stato" ad opera di milizie sciite Houthi, che negli ultimi giorni hanno costretto di fatto il Presidente Abdu Rabbu Mansour Hadi ad una rocambolesca fuga via mare verso lidi più sicuri.

Lo Yemen è il Paese più povero del Medio Oriente. La sua popolazione musulmana è divisa tra una parte (gli Houthi) di obbedienza sciita - circa il 40 per cento - e una maggioritaria sunnita. Le due confessioni hanno convissuto più o meno tranquillamente fino alle primavere arabe, quando le manifestazioni che hanno caratterizzato tutto il mondo arabo-musulmano hanno portato in piazza anche gli Houthi, a chiedere le dimissioni dell'allora presidente Saleh.

Ma non lasciatevi impressionare se scoprirete che Saleh è oggi uno degli alleati chiave degli Houthi. Saleh, al potere per trenta anni, artefice anche dell'unificazione dello Yemen, ha lasciato il potere nel febbraio del 2014, e il Paese si è avviato in una fase di transizione con un nuovo presidente, quello che è sparito due giorni fa.

Da febbraio 2014 le milizie Houthi hanno di fatto preso il controllo di quasi tutte le grandi città e di buona parte dell'entroterra agricolo dello Yemen. Sanaa era già nel loro pieno controllo da mesi, tanto che il presidente Hadi era scappato ad Aden da settimane.

Oltre all'appoggio di Saleh, gli Houthi hanno potuto contare su un altro alleato chiave: l'Iran, forse non direttamente presente nello Yemen ma certamente solidale.

Gli Houthi negano di avere rapporti con Teheran, ma secondo alcune testimonianze citate dalla Reuters i corpi speciali Al Qods iraniani avrebbero svolto un ruolo di addestramento e di formazione militare delle milizie sciite yemenite.

L'Iran e la sua influenza è elemento temutissimo dalle dinastie sunnite del Golfo, e questo spiega l'intervento militare in corso e anche la pressione diplomatica che la coalizione guidata dai sauditi sta esercitando sulle Nazioni Unite per imporre un embargo di armi agli Houthi e una autorizzazione all'uso della forza.

I Paesi che hanno inviato aerei nella operazione capeggiata dai sauditi sono le monarchie del Golfo (Kuwait, Qatar, Emirati Arabi), insieme alla Giordania e al Marocco. Altri Paesi - come Egitto, Sudan e Pakistan hanno offerto truppe di terra. Gli Usa hanno assicurato assistenza logistica e di intelligence.

Ma l'eccesso di bombardamenti e di vittime civili - Amnesty ieri ha parlato di almeno 25 vittime civili di cui almeno 6 bambini nei primi attacchi aerei su Sanaa e altre due province - rischia di alimentare il timore crescente di una "guerra regionale", di cui parlava ieri il quotidiano americano New York Times. E il rischio di un aumento del terrorismo, che proprio in Yemen ha spesso allignato con facilità.

In questo scenario gli Usa si trovano in difficoltà: conducono le trattative con l'Iran sul nucleare da una parte; bombardano a Tikrit i miliziani sunniti dell'Isis e dunque aiutano di fatto le milizie sciite impegnate sul terreno - anche se chiedendo a Baghad di far allontanare gli iraniani impegnati sul terreno; infine, offrono assistenza logistica e di intelligence ai sunniti del Golfo per schiacciare il nemico sciita.

E' un "patchwork di politiche", dice Tamara Cofman Wittes, analista della Brooking Institution, citata dal New York Times. Un puzzle che forse riflette la mancanza di una visione coerente di politica estera dell'Amministrazione Obama, o forse riflette semplicemente la complessità della situazione e della lotta per il potere sul terreno, nel Golfo e nel resto del mondo, dice l'analista.