Quando nel 1970 la legge Baslini-Fortuna vide la luce introducendo il divorzio in Italia lasciò alle sue spalle una battaglia parlamentare di ampie proporzioni che vide il più grande partito italiano di allora, la Democrazia Cristiana, in minoranza. Non volendo accettare la sconfitta in aula, le forze cattoliche organizzarono un referendum affinché la legge potesse essere abrogata, ma i divorzisti ebbero di nuovo la meglio nel 1974 col 59,3% dei voti.

Per questo, commenta oggi l'Economist, è un segnale di cambiamento il fatto che i deputati italiani abbiamo approvato la semplificazione dei tempi di divorzio in Italia con una schiacciante maggioranza (398 a 28) e uno scarno dibattito.

Al di là delle prevedibili critiche di Avvenire, quotidiano di proprietà della Chiesa, non sono casuali le sparute difese verso una istituzione che nella penisola sta perdendo rapidamente il suo fascino. Basti pensare - prosegue il settimanale inglese - al numero elevato di giovani coppie che in Italia convive e ha figli al di fuori del matrimonio, che nel 2012 ha fatto registrate nel nostro Paese la quinta percentuale più bassa in termini di celebrazioni per mille abitanti dell'Unione Europea.

Con la nuova normativa, le coppie possono divorziare dopo dodici mesi di separazione giudiziale e dopo sei mesi in caso di separazione consensuale, mentre prima dovevano attendere tre anni. Non si tratta di una legge particolarmente permissiva perché almeno in sei paesi in Europa non è previsto alcun periodo di separazione per il divorzio.

Tuttavia, se gli italiani sono riluttanti a sposarsi, lo sono anche a divorziare. Sempre nel 2012, infatti, il numero dei divorzi è stato il secondo più basso d'Europa, soprattutto a causa dei costi che essi comportano. Ma anche in questo caso è intervenuto il legislatore, in maniera tale che in caso di divorzio consensuale non ci sia la necessità di passare dal Tribunale, secondo una riforma contenuta all'interno di un pacchetto di normative volte a velocizzare la giustizia civile. Non senza una nota di sarcasmo, conclude l'Economist, affermando che "in un Paese messo in ginocchio dai ritardi della burocrazia, la riduzione dei tempi del divorzio è incoraggiante".