Sono ore di attesa snervante quelle che precedono il referendum di domenica 5 luglio in Grecia: per un governo che ha poggiato la testa sulla ghigliottina e ora prega che la lama non s'abbassi, ma soprattutto per un popolo, esasperato dall'austerità e stretto al contante che le banche elargiscono col contagocce, una massa di piccoli risparmiatori che soltanto auspica una scappatoia dal disastro, un pezzo di cielo e di speranza al quale aggrapparsi, in attesa di tempi migliori.

I sondaggi più recenti parlano di un Paese spaccato a metà, mentre il premier Tsipras fotografa così la situazione ai microfoni della tv Antena: "Avremo un accordo 48 ore dopo il referendum.

Questo accordo può essere il cattivo accordo che ci hanno proposto o uno migliore. Quanto più forte sarà il No migliore sarà l'accordo." In caso di vittoria del , e quindi di accettazione popolare delle proposte di Ue, Bce e Fmi, afferma Tsipras, "avremo un accordo non sostenibile." Il premier greco ha poi aggiunto che non ha intenzione di mettere "la poltrona" davanti "agli interessi della nazione", facendo intendere che qualora dai suoi cittadini arrivi una risposta affermativa, e quindi in contrasto con la linea del governo, non esiterebbe a dimettersi.

Possibili scenari dopo il voto

La scelta di Tsipras di rimettere la questione europea al popolo assomiglia al gesto di un disperato che, in bilico sul ponte e in procinto di compiere l'estremo gesto, chiede ai passanti se non è di troppo disturbo dargli una spinta, in realtà sperando con tutte le forze che questi si operino per distoglierlo dal folle gesto.

Il premier greco non fa altro che rimettere i debiti ai debitori, quelli veri, quelli che in entrambi i casi, sia che Atene continui a battere bandiera europea sia che questa venga ammainata, dovranno dar fondo alla buona fede di cittadini e ai propri risparmi per far fronte all'oscura nube di austerità che si profila all'orizzonte.

Se il popolo greco acconsentirà alle proposte della troika, allora il periodo di magra sarà inevitabile, con la Grecia che farà la parte della figlia più piccola e ribelle, tenuta sotto chiave da genitori inflessibili, osteggiata dai fratelli più potenti. Tsipras potrebbe dimettersi immediatamente, colto in fallo, e si andrebbe alle elezioni anticipate o alla creazione ex novo di un governo di unità nazionale, a cui spetterebbe il compito di sedersi al tavolo delle trattative con i creditori sempre più impazienti e meno disposti al dialogo.

Allora si giungerebbe ad un accordo, difficilmente migliore, e quindi allo sblocco di nuovi fondi per sostenere la Grecia.

Se la Grecia griderà No all'Ue, riconfermando quindi l'appoggio al suo premier, si entrerebbe nella millantata "nuova dimensione", inesplorata e sconosciuta, ma non così imprevedibile. Tsipras rimarrebbe a capo di un governo contrario ai creditori, cercando di negoziare condizioni migliori: nel caso che questi non accettino l'accordo, allora sì, la Grecia, dovrà trovare un appiglio nel mare agitato, preferendo così una malinconica zattera alla strombazzante nave dei potenti.