Nei giorni scorsi abbiamo dato i numeri, sia per quanto concerne la diffusione della cannabis in Italia che sulla penetrazione delle sostanze illecite sul nostro territorio. L’occasione è stata fornita dalla relazione annuale che il Dipartimento Politiche Antidroga di Palazzo Chigi ha trasmesso al Parlamento. Un testo attorno al quale è possibile far scaturire alcune riflessioni, per quello che da problema può diventare una risorsa.

Legalizzare, se non ora quando?

I tempi sembrano maturi, almeno per la legalizzazione delle droghe leggere. Cannabis e suoi derivati sono già legali o tollerati in diversi paesi europei e non: Olanda, Repubblica Ceca, Spagna, Uruguay e molti stati degli Usa hanno da tempo abbandonato la fallimentare guerra alla droga, già definita alcuni anni fa come tale dalla Global Commission incaricata dall’Onu di fotografare lo stato dell’arte di una lotta impari.

Una “war on drugs” che causa vere e proprie guerre con vittime e valanghe di arresti ai confini tra Usa e Messico, senza contare i signori della droga che proliferano nei paesi produttori grazie ai miliardi garantiti dal proibizionismo.

Le mafie si dividono i mercati

La relazione del DPA ha evidenziato un ulteriore aspetto interessante di come, in Italia, la criminalità organizzata sia riuscita a trovare equilibri per soddisfare una domanda di droghe sempre crescente nel paese più proibizionista d’Europa (circostanza ricordata anche dall’osservatorio UE). La ‘ndrangheta gestisce la cocaina, la camorra l’eroina e la mafia è presente nel traffico di cannabinoidi. Il tutto non senza la partecipazione di altri gruppi come laziali e pugliesi, oltre che di alleati esteri come colombiani, slavi e nordafricani.

Una multinazionale che genera introiti tra i 10 e i 15 miliardi di euro all’anno (comprese tutte le sostanze) costituendo il principale asset economico delle mafie operanti in Italia. Se la cannabis rappresenta la sostanza più richiesta, va da sé che la legalizzazione delle droghe leggere comporterebbe un’immissione nel circuito legale di svariati miliardi di euro in pochi anni.

Soldi derivanti dalle imposte, da usarsi per ridare fiato a famiglie e imprese, come spesso la politica dice di voler fare. Se poi, sul modello olandese e svizzero, si decidesse di regolamentare attraverso somministrazione medica controllata finalizzata alla riduzione del danno anche le droghe pesanti, ci sarebbero ancora meno denari nelle casse dei clan.

Soldi che finiscono nel riciclaggio che inquina l’economia legale e nella sempre evocata corruzione, anch’essa probabilmente colpita da un’eventuale legalizzazione per carenza di fondi.

E il Governo?

Il Governo, pur fotografando la situazione fornendo quasi inconsapevolmente argomenti agli antiproibizionisti, non prende posizione. Non si evince nella relazione la volontà di legalizzare per governare, bensì di proseguire con una politica fatta di sanzioni amministrative e spreco di denari oltre che di forze dell’ordine, costrette a perseguire persone con pochi grammi sostanza. Non mancano perfino citazioni di luoghi comuni, secondo cui la cannabis è sostanza da adolescenti destinati a passare al consumo di droghe pesanti in età adulta.

La realtà è del tutto diversa, come pure emerso dalla medesima relazione. La sensazione è che l’intergruppo Della Vedova avrà vita dura a vincere la sua battaglia per la cannabis legale, in una stagione dominata da un Governo che annovera ministri di un certo peso (Alfano e Lorenzin) contrari a ogni apertura.