Proseguendo la nostra intervista in esclusiva, il professor Barnao ha espresso quanto il Ministero della Difesa, ben conscio di ciò che avvenga dietro le mura delle caserme, diriga la scena per tre ragioni fondamentali: politiche, culturali ed economiche.

L’intervista

Secondo la sua opinione, i vertici della Difesa sono a conoscenza dell’addestramento alienante a cui vengono sottoposti i nostri soldati?

«Credo che ci sia consapevolezza e credo, anche, che ci sia una precisa regia dei vertici dietro la scelta di questo modello addestrativo.

Le ragioni che stanno alla base della scelta di questo modello penso siano principalmente di tipo culturale, politico e economico.

Quelle culturali e politiche vanno ricollegate a molto di ciò che abbiamo detto sul fascismo storico/culturale.

Le principali ragioni della scelta, comunque, restano a mio avviso quelle economiche. Il modello addestrativo proposto in caserma è molto semplice (si basa su schemi elementari della psicologia comportamentista), inadeguato all'intervento in situazioni complesse (si pensi all'intervento in teatri in cui è sempre più difficile prevedere le variabili in gioco), ma molto economico. Credo succeda per l'addestramento qualcosa di molto simile a quello che accade per il materiale in dotazione ai nostri militari. Così come spesso i nostri militari, per “risparmiare” sui costi, vengono mandati in azione con materiali insufficienti, inadeguati e pericolosi per la loro salute (si pensi al caso emblematico delle malattie contratte per avere agito, senza le adeguate protezioni, in zone contaminate da uranio impoverito), corrispondentemente vengono addestrati in modo non adeguato, ma economico.

Il sospetto (ma più raccolgo dati e più sta diventando certezza) è che questa “strategia del risparmio”, riguardi principalmente le spese per la truppa, per coloro che occupano le posizioni più basse, e non quelle per coloro che occupano le posizioni più alte nel sistema di stratificazione di influenza interna delle forze armate.»

Nell’attuale situazione politica e sociale, qual è la sua opinione in merito alla leva obbligatoria?

Come giudica la proposta della sua reintroduzione?

«Non sono favorevole alla reintroduzione della leva obbligatoria. Credo sia importante la libertà di scelta degli individui rispetto ad un percorso formativo così importante. Tuttavia molte sono state le conseguenze negative alla sua abolizione. Uno degli aspetti più negativi della “fine” della leva obbligatoria, è stato quello di rendere l'istituzione militare ancora più separata dall'esterno, ancora più “totale” di quanto non fosse già in precedenza.

Adesso, con un esercito di soli professionisti, la possibilità di passaggio di informazioni dall'interno all'esterno della caserma è molto più ridotto di quanto non fosse in precedenza. Tutto ciò ha come conseguenza la difficoltà estrema di esercitare un controllo adeguato su un potere enorme, quello militare, che agisce quotidianamente in molti settori della nostra società. Si pensi, tra l'altro, al progressivo e ben noto processo di militarizzazione di tutte le nostre forze di polizia.»

Crede che un giovane dei giorni nostri difficilmente potrebbe adattarsi alla vita sotto le armi?

«Dipende a quale tipo di vita sotto le armi facciamo riferimento e, soprattutto, a quale tipo di addestramento.»

Esiste una diretta conseguenza, nel suo passato, tra l’aver svolto il servizio militare nella Folgore e la scelta di iscriversi a Sociologia?

«Certamente sì. L'anno di leva nella Folgore è stato un anno particolarmente importante e intenso nel mio percorso biografico. Alla fine di quell'anno, anche con l'obiettivo di “mettere ordine” a quella complicata esperienza, avevo pensato di iscrivermi a psicologia oppure a sociologia. La scelta ricadde sulla facoltà di sociologia di Trento che, a quel tempo, era considerata la migliore in Italia.»

La ringrazio per il tempo che mi ha concesso, le auguro il meglio per il futuro.

«Grazie a lei e buon lavoro.»