Le Camere hanno approvato il disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi. Il Ddl contiene "disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione". Sulla pagina web del Senato troviamo l'intero testo, atto 1429-B della XVII legislatura.

Il secondo comma dell'art. 55 del Ddl, nuovo di zecca, promuoverebbe l'equilibrio tra i sessi nella rappresentanza parlamentare.

Un sospiro di sollievo: finalmente. Il terzo comma, "ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione", è una novità, poichè l'art. 67 della Costituzione afferma che ogni membro del Parlamento, di fatto, rappresenta la Nazione. Sempre dal Ddl: "la Camera è titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell'operato del Governo". Il Senato rappresenterebbe, invece, le istituzioni territoriali. Dopo qualche rigo, la sorpresa: concorrerà all'esercizio della funzione legislativa, ma attenzione, nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione (post-emendamento), nonché al raccordo fra Stato, enti e Ue.

Formalità. Il Senato valuterà le politiche e le pubbliche amministrazioni.

Come cambia il Senato

L'art. 57 ex Cost. designa 315 senatori. L'emendamento del Ddl stravolge quest'impostazione: 100 senatori in toto. Badiamo bene: i consigli regionali e le province autonome di Trento e di Bolzano (non più gli over 25) eleggono i senatori tra i loro componenti e tra i sindaci locali (non più tra gli over 40).

Gente in carica che già grava sulle casse statali: insomma, "politici" di mestiere, in aperto contrasto con l'art. 58. L'art. 69 della Costituzione afferma: "i membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge". Il Ddl Renzi-Boschi sostituisce "del Parlamento" con "della Camera dei deputati", e dimentica che sindaci e consiglieri ricevono già un'indennità.

Invece della rappresentanza del Senato, diretta e proporzionale, perché non ridimensionare gli stipendi? Quelli di tutti stavolta, deputati, senatori, portaborse e lustrascarpe.

Pesantemente bistrattato, il Senato viene privato del potere legislativo che prima lo equiparava alla Camera. Non solo: ai singoli senatori è negata l'iniziativa legislativa. Secondo il nuovo art. 70 del Ddl, il Senato della Repubblica può formulare osservazioni alla Camera dei deputati. Ma il taglia e incolla non finisce qui. Le Province scompaiono letteralmente dalla nostra carta costituzionale, il CNEL, importante organo dotato di iniziativa legislativa, è soppresso. Curioso è l'emendamento all'art. 71: se dotati di iniziativa legislativa erano cinquantamila elettori, ora la soglia è triplicata a centocinquantamila.

Tra le modifiche, le smacchiature e le aggiunte, la nostra democrazia ne esce ingrigita, col morale a terra, l'espressione vuota. Un governo che nessuno ha votato, con fare baldanzoso e anche un po' prepotente, strapperà alla nostra Costituzione un ventricolo del suo cuore. Il bicameralismo non sarà più paritario e vedremo aperta la via al maggioritarismo.

Cosa otterremo? Il governo, responsabile di fronte alla sola Camera, sarà più stabile. Non cercherà più espedienti quali decreti legge o legislativi per bypassare il parlamento: vedrà esecutivo e legislativo fondersi in un'unica direzione politica (quella della maggioranza), e il suo predominio minerà le fondamenta del fragile equilibrio attuale.

Metteremo a un nuovo presidenzialismo de facto la maschera di un vecchio parlamentarismo sconclusionato e non ci riconosceremo più allo specchio. Sarà il referendum di ottobre a chiarire il nostro avvenire.