Non è piaciuta alla commissione europea la decisione dell'Austria, nella persona del ministro dell'interno Johanna Mikl Leitner, di porre un tetto massimo all'ingresso giornaliero di 80 immigrati su territorio austriaco. Austria che ha inoltre ripristinato i controlli alle frontiere nazionali. Non si è fatta attendere la risposta della commissione europea, fortemente critica: "Sarebbe chiaramente incompatibile con gli obblighi del diritto Ue e dalle leggi internazionali". Al seguito della posizione austriaca si è posta la Serbia: "Ciò che farà l'Austria, farà la Serbia" ha affermato Aleksandar Vulin, ministro del lavoro e responsabile dell'emergenza immigrazione.

Croazia, Serbia e Bulgaria militarizzano le frontiere, con una situazione che si fa incandescente nell'Europa dell'est. Jean-Claude Junker prova a smorzare i toni, affermando che "questo accade perché manca un approccio europeo sulla crisi dei migranti", tentando di trovare una giustificazione poco plausibile al comportamento di quei Paesi che vedono riversarsi quotidianamente nei loro territori, in quanto via di transito, migliaia di immigrati.

Renzi attacca Austria e Paesi dell'est Europa

Una replica secca e decisa è arrivata dal presidente del consiglio italiano, Matteo Renzi, da giorni proiettato verso una caratura europea del suo mandato. "Cari amici- ha detto riferendosi ad Austria, Serbia, Croazia e Bulgaria- basta con le prese in giro: la solidarietà non può essere solo nel prendere, ma anche nel dare".

Ha proseguito, arrivando ad una non troppo velata minaccia di carattere economico: "Inizia ora la fase di programmazione dei fondi 2020. O siete solidali nel dare e nel prendere, oppure- avrebbe poi continuato il premier- smettiamo di essere solidali noi Paesi contributori." Avvertimento apprezzato da molti Paesi, Germania e Francia su tutti.

La riapertura di un dialogo incentrato su toni positivi con la Germania, porterebbe il presidente del consiglio italiano a poter recitare un ruolo importante per quella che oramai sembra essere la madre di tutte le sue battaglie in sede europea, ovvero quella per la flessibilità. Renzi si sta muovendo in maniera intelligente e diplomatica, consapevole del fatto che non convenga ora forzare la mano sulla flessibilità, e che all'ordine del giorno vi siano priorità inderogabili.

Una su tutte il referendum inglese sulla permanenza o meno nell'area Ue.

Il problema inglese: rischio Brexit e la fermezza di Cameron

David Cameron è giunto a Bruxelles con una cartella piena di fascicoli, riportanti le varie richieste che l'Inghilterra pone come condizione necessaria per la sua permanenza nell'Ue. Qualora venissero respinte, Cameron si è detto pronto ad impegnarsi in prima persona per la campagna a favore dell'uscita del Regno Unito (la cd Brexit). Il referendum inglese si terrà entro e non oltre dicembre 2017. Il premier britannico chiede accordi su quattro punti: sovranità ed integrazione, competitività, diritti all'assistenza sociale per i lavoratori intracomunitari, relazioni fra Paesi euro e non euro.

Londra vuole evitare di trovarsi imbrigliata in un'Ue eccessivamente comunitaria, in cui i fili inglesi possano intrecciarsi con quelli degli altri Paesi. Posizione, questa, storicamente comprensibile: siamo sempre stati abituati a vedere l'Inghilterra come una terra distaccata, non solo geograficamente, e che ha sempre tenuto il punto sull'equilibrio dell'Europa continentale, evitando accuratamente che un determinato Paese potesse acquisire un'egemonia preponderante. La possibilità di un'uscita inglese dall'Ue sembra, ai più, un'opzione improbabile. Cameron chiede che gli eventuali accordi siano "legalmente vincolanti ed irreversibili", condizione che implicherebbe una revisione dei trattati Ue; scenario cui la maggior parte degli Stati membri sembrano essere contrari. Si dovrà cercare una decisione che accontenti tutti i Paesi, o quantomeno che ne scontenti il minor numero possibile.