Un modo per passare alla storia, lui che la storia l'ha già scritta come primo afroamericano che varca il portone della Casa Bianca da inquilino principale. Pochi giorni fa la visita in Vietnam, ora nella fitta agenda di Barack Obama c'è Hiroshima, prima città a subire gli effetti distruttivi della bomba atomica nel 1945. Lo scorso marzo si era recato a Cuba dove aveva incontrato il presidente Raul Castro e gettato le basi per la fine del lungo embargo nei confronti dell'isola caraibica. Tra pochi mesi Obama chiuderà il secondo mandato da presidente degli Stati Uniti e dunque la sua esperienza alla guida del Paese.

Alla base delle missioni all'estero dell'ormai presidente uscente c'è la precisa strategia di ridare lustro ad una politica estera che sta mostrando da tempo pericolose crepe.

In cerca di nuovi alleati

La "sporca guerra" del Vietnam è una "macchia" difficile da cancellare. Washington iniziò il progressivo ritiro delle truppe nel 1972, dopo otto anni di operazioni militari, e nel 1973 vennero firmati a Parigi gli accordi di pace. Il conflitto si sarebbe concluso con la vittoria del Vietnam del Nord e la riunificazione del Paese nel 1975. Nel 1984 l'amministrazione Reagan impose al Paese asiatico l'embargo sulla vendita delle armi. Revocato parzialmente trent'anni dopo, è stato tolto definitivamente da Obama lo scorso 23 maggio.

"Non dimentichiamo il passato ma lavoriamo per un futuro insieme", ha detto il leader della Casa Bianca nel corso del suo recente incontro con il presidente vietnamita Tran Dai Quang. Ma la visita del presidente degli Stati Uniti ad Hanoi e la sua volontà di chiudere una pagina nera, trae invece spunto dalla necessità di rafforzare le alleanze con i Paesi del Sud Est asiatico, "minacciati" dalla politica "aggressiva" della Cina.

Nelle intenzioni di Barack Obama ci sarebbe quindi l'esigenza di trovare nuove sponde all'estero, assumendo nel caso specifico un ruolo guida contro il pericolo di un'egemonia cinese. Secondo il parere del "Los Angeles Times" è "il tentativo malriuscito di sottrarsi ai fallimenti in Medio Oriente", una visione critica probabilmente molto vicina alla realtà.

Omaggio alle vittime ma nessuna scusa

Barack Obama è in Giappone per i lavori del G7, al termine dei quali porterà il proprio omaggio alle vittime di Hiroshima, la prima città nipponica distrutta dalla bomba atomica statunitense sganciata il 6 agosto del 1945. Sarà naturalmente accompagnato dal primo ministro giapponese, Shinzo Abe. Il presidente americano visiterà il memoriale dove sono riportati i nomi di oltre 250 mila morti degli attacchi nucleari ad Hiroshima e Nagasaki. Alla cerimonia è prevista la presenza di alcuni anziani superstiti del 'fungo' ma potrebbero non mancare le proteste, soprattutto per le dichiarazioni di Obama che ha sottolineato come "il governo americano non chiederà scusa per la bomba di Hiroshima.

L'allora presidente Harry Truman prese la decisione di usare l'atomica per motivi giusti, quelli di far cessare una guerra tremenda". In Giappone sono parecchi a non aver gradito queste parole. "Non è il benvenuto - hanno detto le persone intervistate durante un movimentato sit-in in cui sono stati bersagliati tanto il presidente americano quanto il premier giapponese - e sapevamo che non avrebbe presentato scuse. Se lo facesse, gli Stati Uniti in futuro non potrebbero più usare le armi nucleari". Anche in questo caso stridono paurosamente l'un contro l'altro interessi economici, fermi tentativi di rimanere coerenti con le scelte del passato ma, soprattutto, il disperato tentativo di cancellare politiche sconsiderate che hanno causato danni non indifferenti ad alcuni delicati equilibri internazionali.

Ma se ai tempi della guerra fredda, in un mondo diviso in due, gli Stati Uniti riuscivano in qualche modo a mascherare i propri errori, nella complessa realtà odierna vengono messi ferocemente a nudo e la polveriera del Medio Oriente è l'esempio più lampante.