L'avvicinamento all'appuntamento referendario sul ddl Renzi-Boschi pare una strada lastricata di inquietudini per lo stesso Presidente del Consiglio, dalle elezioni amministrative che hanno registrato un Partito Democratico in netto calo rispetto all'entusiasmante 40,8% delle Europee del 2014, ai sondaggi che vedono il "No" in netto vantaggio, infine le previsioni non proprio lusinghiere che giungono dall'estero.

Proprio questi potrebbero essere i fattori che hanno determinato un così repentino cambio di atteggiamento di Matteo Renzi nei confronti del referendum costituzionale portandolo negli ultimi mesi a dichiarare che "la riforma porta il nome di Giorgio Napolitano" e nelle ultime ore di considerare l'esito della consultazione ininfluente a proposito di un eventuale voto anticipato.

Sono stati, dunque, smessi i panni del Matteo Renzi più spavaldo che a Repubblica TV a gennaio 2016 dichiarò al giornalista Claudio Tito: "Se perdo il referendum sulle riforme costituzionali smetto di far politica" precisando che non si trattava di una personalizzazione, ma dell'assunzione delle proprie responsabilità.

Il 25 gennaio è stata la volta della trasmissione Quinta Colonna in cui fu ancora più evocativo dicendo chiaramente "Se sulle riforme gli italiani diranno di no, prendo la borsettina e torno a casa" e da lì una serie di dichiarazioni a Radio e TV in cui i toni erano quelli assunti nel primo mese dell'anno e le parole bene o male le medesime: con il NO il governo va a casa, io non sono attaccato alla poltrona e mi ritiro dalla politica, non è una personalizzazione, ma un'assunzione di responsabilità.

Poi ecco i risultati delle elezioni e dei sondaggi ed il lancio di una campagna per il Sì che ancora non è entrata nel vivo e che però non pare travolgente come nelle migliori stagioni dell'era renziana. A questo si aggiunge una battaglia interna che negli ultimi giorni pare farsi più minacciosa che mai con una buona parte dei dissidenti del Pd, D'Alema in testa, pronti a schierarsi organizzati per il NO.

Così facendo Renzi sicuramente è costretto ad un dietrofront troppo grande per passare inosservato. Ma si tratta di un clamoroso autogol con lo scopo di salvare la tenuta dell'esecutivo rimediando una brutta figura o di una strategia politica? Questo suo smarcarsi dalle posizioni che vedevano la sua sorte legata a quella della riforma costituzionale toglierà un argomento piuttosto semplice da comunicare ed incisivo allo schieramento che si sta mobilitando per il NO.

Sarà difficile, infatti, a questo punto utilizzare il referendum come arma per poter "Mandare a casa Renzi", un'espressione che certo non è mancata negli appuntamenti della quasi totalità delle forze politiche che stanno affrontando la campagna per il NO, costringendoli a virare verso argomentazioni più tecniche e probabilmente in alcuni casi di minor impatto.

Ma non sono le uniche grane dalle parti del NO. Se, infatti, nonostante qualche grana a Roma, il Movimento 5 Stelle sta riscontrando un buon successo nel tour in motorino in giro per l'Italia di Alessandro Di Battista, più tese le acque nel centrodestra dove tiene ancora banco la discesa in campo di Parisi che non è stato, ad ora, in grado di ricostruire un fronte compatto come quello che l'aveva sostenuto a Milano portandolo a sfiorare la clamorosa vittoria contro Beppe Sala.

E pure a Sinistra le frizioni non mancano con il consigliere regionale del Friuli Venezia Giulia Giulio Lauri di SEL (membro della maggioranza che sostiene Debora Serracchiani) che ha annunciato il suo "Sì" alla riforma, dichiarazione che non poteva che creare tensioni in seno a SEL e Sinistra Italiana, schierate in maniera piuttosto decisa per il NO.