C’è spazio anche per la scaramanzia nella battaglia sul Referendum Costituzionale di ottobre. Il palco amico della Festa dell’Unità di Bosco Albergati aveva segnato, tre anni fa, l’avvio di uno sprint vincente per Matteo Renzi in ottica Palazzo Chigi. Si sarà affidato a quel ricordo il premier per cavalcare la campagna del comitato Basta un sì e per lanciare due messaggi che hanno fatto subito rumore. Nello spiegare le ragioni e gli obiettivi della Riforma, Renzi si è affidato ai numeri: secondo il premier, se si superasse lo scoglio Referendum, si risparmierebbero addirittura 500 milioni da destinare alla fascia povera degli italiani.

Un ipotetico tesoretto prodotto dal taglio dei costi della politica e dall’archiviazione del bicameralismo perfetto. Solo una promessa da campagna elettorale? Secondo Forza Italia, molto attiva con il fronte del No, il premier l’ha sparata grossa, molto grossa: Brunetta e Malan hanno ricordato che anche la Ragioneria dello Stato ha calcolato in 47 milioni il vero profitto derivante dalla cancellazione del Senato.

Il padre della Riforma

Il botta e risposta sui numeri non è stato che il primo effetto sull’uscita pubblica di Renzi. Non è passato inosservato l’ulteriore passo indietro del toscano sulla personalizzazione del quesito referendario. Il capo del governo ha ammesso di aver sbagliato e ha fatto il nome e cognome del vero padre della Riforma Costituzionale: Giorgio Napolitano.

Come a volersi liberare da un peso opprimente, Renzi ha voluto chiarire la sua posizione: “Non è la riforma di una persona, ma la riforma che serve all’Italia”. C’è chi dietro questa uscita ha voluto leggere un segnale di forte debolezza del premier-segretario, ormai consapevole dei tristi sondaggi sul voto d’autunno. La minoranza PD (quasi uscita del tutto allo scoperto dopo il varo del primo comitato per il No) ha attaccato duramente Renzi per aver strumentalizzato ai fini della sua propaganda, un momento di festa che appartiene a tutti i militanti.

Il senatore Gotor gli ha ricordato di andarci piano contro i cosiddetti cospiratori interni, rievocando il beffardo #enricostaisereno che è già storia.

Il bottino dei rimborsi

Ti distrai un attimo e il PD si intasca 500mila euro di soldi nostri”. A denunciare il vero obiettivo del comitato per il Sì dem è stato Luigi Di Maio, leader del Movimento 5 Stelle.

Secondo il vicepresidente della Camera, comunque vada, il partito del premier ha già arricchito le sue casse. “Il vero obiettivo era mettere le mani sui soldi - ha attaccato Di Maio - visto che nessuno, a parte loro stessi, è disposto a dargli un euro per questa assurda riforma”. “E così grazie alla legge che rimborsa i comitati referendari con un euro per ogni firma raccolta, il PD incasserà circa 500.000 euro per pagare gli eventi a Verdini, Renzi, Alfano etc”. I cinquestelle, impegnati nella propaganda per il No con il tour di Alessandro Di Battista, rappresentano la vera opposizione al premier. Dopo il successo alle amministrative, la distanza che li separa da Palazzo Chigi è minima. “Sfido il renzianissimo comitato per il Sì - ha rilanciato Di Maio - a rinunciare ai 500mila euro e a donare questi soldi al fondo per la povertà, altro che ‘se vince il Sì diamo i soldi ai poveri’”.