La lunga corsa elettorale di Donald Trump ha vissuto fasi alterne. Al momento della sua "discesa in campo", tanto per citare frasi di berlusconiana memoria, erano tanti i sorrisi ironici per quella che sembrava una candidatura folcloristica. Poi le trionfali primarie, dove tutti gli avversari in seno al Partito Repubblicano si sono ritirato dinanzi alla sua pioggia torrenziale di consensi. La convention dello scorso luglio sembrava aver messo d'accordo i vertici del GOP, anche coloro che lo avevano apertamente ostacolato, nel rispettare ciò che gli elettori avevano designato ma nel momento in cui i sondaggi lo hanno dato per la prima volta in vantaggio nei confronti di Hillary Clinton in vista delle presidenziali di novembre, ecco che ha preso il via la sua parabola discendente.

Sarebbe meglio definirla una 'picchiata', quella di Trump oggi sembra una corsa folle e disordinata verso il disastro.

Nuovi sospetti filorussi

Il 'flirt' a distanza con Vladimir Putin non gli ha portato bene. I denigratori di "The Donald" hanno tirato fuori vecchie storie, ventilando 'relazioni' con il capo del Cremlino che andrebbero ben oltre la semplice stima tra due politici. Secondo queste indiscrezioni, infatti, ci sarebbero i capitali russi dietro la resurrezione economica di Trump che, a causa di alcuni affari completamente sballati, nel recente passato avrebbe rischiato più volte la bancarotta. Ora il "New York Times" è andato oltre, svelando in un articolo che Paul Manafort, organizzatore della campagna elettorale del candidato repubblicano, avrebbe ricevuto in passato la cifra di 12 milioni e 700 mila dollari in qualità di consulente di Viktor Yanukovych, ex presidente filorusso dell'Ucraina.

I compensi sarebbero stati elargiti dal 2007 al 2012, periodo in cui Manafort avrebbe svolto un ruolo di consigliere esterno nei confronti del presidente ucraino durante la sua campagna elettorale. Il problema è legato proprio alla figura di Yanukovyc ed al suo ruolo nellacrisi ucraina con la forte spinta verso la Russia di Putin.

Facile, pertanto, fare addizioni in campagna elettorale. Si tratta di sostanziosa manna per Hillary Clinton che sta puntando sui presunti legami di Trump con lo storico nemico politico allo scopo di far leva sul nazionalismo statunitense.

Trump attacca la stampa

Il New York Times rincara la dose, sostenendo che la prova dei pagamenti di Yanukovyc per le prestazioni di Manafort è contenuta in alcuni documenti segreti ora resi pubblici dal governo ucraino tramite l'Ufficio nazionale anticorruzione.

L'autorevole organo di stampa ricorda inoltre tutti gli attestati di stima di Trump nei confronti di Putin, le critiche del candidato repubblicano nei confronti della NATO ed ilfurto di e-mail dall'archivio del Partito Democratico i cui principali sospettati sono i servizi segreti di Mosca. La risposta di Trump non si è fatta attendere. "Il mio vero avversario non è Hillary Clinton - ha detto - ma la stampa corrotta. Il New York Times è ormai diventato un giornale di fiction ed oltretutto non fa altro che citare fonti anonime delle notizie pubblicate. Tutto questo è disonesto".

Un epilogo già scritto?

L'impressione, dall'esterno, è quella che abbiamo manifestato mesi or sono. Donald Trump non sarà presidente degli Stati Uniti e non per le sue uscite poco "politically correct".

Lostorico cambio di rotta promesso dal candidato repubblicano sulle questioni internazionali non è minimamente accettabile per un Paese che, dal dopoguerra ad oggi, ha sempre segnato la politica globale, nel bene o nel male. La corsa elettorale di Trump sarà ricordata come quella di un candidato che, pur senza la minima esperienza politica, è comunque arrivato ad un passo dalla Casa Bianca. Le elezioni presidenziali sono pronte a celebrare la prima donna, ex first lady, che rientra alla Casa Bianca da presidente: un finale scritto da tempo, molto scontato, nonostante svariati colpi di scena. Del resto le "soap opera" le hanno inventate negli Stati Uniti.