Il presidente turco Erdogan ha affermato in una recente intervista che le operazioni militari contro il PKK (Partito Curdo dei Lavoratori), continueranno fino a quando tutti i ribelli non saranno uccisi. Dopo più di trent'anni di violenze, che hanno causato migliaia di morti tra curdi e turchi, Erdogan pensa ancora di risolvere il conflitto con la forza bruta. Tuttavia il governo turco sottovaluta la forza e l'orgoglio del popolo curdo, la ricerca di una sorta di autonomia da parte dei curdi durerà fino a quando una soluzione reciprocamente accettata non verrà trovata attraverso negoziati pacifici.

Per capire la mentalità curda bisogna analizzare la loro storia; un regno indipendente del Kurdistan è durato meno di due anni (1922-24), prima di essere spartito in zone che poi sono diventate stati come l'Iraq, l'Iran, la Siria e la Turchia. Questo è avvenuto indipendentemente dall'appartenenza etnica o dalla rilevanza geografica, tuttavia i curdi sono attaccati al loro patrimonio culturale, il rifiuto dei quali da parte del governo turco rimane al centro delle rimostranze di oggi. La Turchia ospita la più grande comunità curda (circa 15 milioni); negli anni settanta nacque il PKK come risposta alle persecuzioni contro attivisti politici curdi da parte del governo turco. Nel 1999 il leader curdo Abdullah Ocalan fu arrestato e condannato a morte, ma grazie alle pressioni europee la pena venne commutata in ergastolo.

Nel 2006 Ocalan ha chiesto negoziati di pace per porre fine al conflitto, ma la sua proposta è rimasta fondamentalmente inascoltata. Sulla scia del fallito colpo di stato dello scorso luglio, il presidente turco Erdogan ha cominciato a eliminare i suoi oppositori, le purghe del governo turco hanno colpito anche migliaia di curdi.

Anche se le rimostranze del popolo curdo sono più che legittime, la violenza non è accettabile. Dopo 30 anni di spargimento di sangue i presupposti per la fine del conflitto sono pochi, entrambe le parti combattono una guerra che nessuno può vincere. I curdi sono determinati a realizzare una qualche forma di governo semi-autonomo, e a preservare la loro cultura e la loro lingua, cose che nessun popolo vorrebbe sacrificare, indipendentemente da quanto dolore e sofferenze possa subire. Forse Erdogan dovrebbe cominciare a pensare che la soluzione del problema curdo si può basare solo ed esclusivamente su negoziati di pace.