Matteo Renzi, visto qualche anno fa come una speranza riformista in grado di smuovere lo stallo del Paese, rischia di diventare una vittima annunciata del prossimo referendum costituzionale, con i sondaggi che sembrano sottolineare un voto contro la sua persona piuttosto che una scelta oggettiva sul quesito. Parlando a Treviso, in tour per il Sì, Renzi ha spiegato che la vittoria in questo referendum cambierebbe il corso dell'Italia per almeno i prossimi trent'anni, impedendo ad ogni Presidente del Consiglio di essere schiavo di ricatti e burocrazia.

Alla platea ha chiesto - se davvero si ha la voglia di cambiare il Paese, non per se stessi, ma per i propri figli - di non essere lasciato solo.

Renzi vittima del suo gioco: la "personalizzazione"

La paura è che il referendum di dicembre possa essere molto simile a quello sulla Brexit in Inghilterra, visto non tanto come la possibilità di dire la propria ad un quesito importante, al quale dare risposta può essere anche abbastanza complicato, ma come un giudizio da dare al Premier, al governo e al loro operato in questi anni. In parole povere, sembra che gli Italiani stiano trasformando il Sì in un'approvazione a Renzi, spingendolo ad andare avanti, e il No in una bocciatura dello stesso Premier, chiedendogli di dimettersi e fare spazio a nuove elezioni politiche.

Il primo errore, come successo con David Cameron, è stato dello stesso Renzi: cavalcando forse l'ultima onda di celebrità e approvazione, ha impostato il referendum sulla sua persona, "minacciando" di lasciare la politica in caso di vittoria del No. In questo contesto gli oppositori hanno avuto vita facile, sfruttando episodi come la lenta ricrescita e i salvataggi bancari.

Lo stesso Matteo Renzi ha ammesso di aver sbagliato nel "personalizzare" troppo questa situazione.

Secondo gli esperti, i sondaggi per adesso sembrano essere poco affidabili; contrastanti, infatti, i dati raccolti da Corriere della Sera (23% Sì, 25% No e 52% astenuti o indecisi) e EMG (31% Sì, 36% No e 33% astenuti o indecisi).

Il Sì sembra essere particolarmente debole al Sud e tra i giovani elettori attratti dal Movimento 5 Stelle.

Un'altra situazione che di sicuro non gioca a favore né del referendum in sé, né di Matteo Renzi, è la divisione all'interno del Partito Democratico: in alcune situazioni di incertezza molti elettori potrebbero affidarsi alle direttive del proprio partito, prima di prendere una decisione definitiva; la scissione del PD tra sostenitori del Sì e sostenitori del No, oltre ad aver complicato molto le cose, ha personalizzato ancora di più il referendum, in quanto anche all'interno dello stesso partito la cosiddetta "minoranza PD" sta cercando di sfruttare questa situazione (e l'eventuale vittoria del No) per indebolire Renzi.

Renzi non diventi il vero quesito referendario

La sola cosa certa è che abbiamo davanti una grossa opportunità: il referendum è il momento più alto della democrazia, in cui si viene chiamati direttamente a dire la propria opinione su un quesito ben preciso. In nessun altro caso viene mai chiesto all'elettore cosa pensa di un determinato problema. Al di là delle proprie scelte, la speranza è che questa opportunità non sia dettata da criteri sbagliati (e oggettivamente inutili: in caso di vittoria del No, Renzi non sarà affatto obbligato dalla legge a dimettersi), ma da analisi ben approfondite. Insomma, quello che dovremmo fare ogni volta che ci presentiamo ad un seggio con la tessera elettorale.