Il 4 novembre 1956, l'inizio della fine di un impero che iniziava a dare segni di cedimento. Solo 3 anni prima, il 5 marzo 1953, moriva Josif Stalin, il grande "padre" del comunismo sovietico, a cui successe Nikita Chruscev, un uomo del tutto diverso, meno brutale ma che non comprese, come i suoi successori, che il sistema sovietico poteva reggersi solo tramite il "terrore" tanto caro a Stalin.

Una delle prime conseguenze del processo di de-stalinizzazione e di denuncia dei crimini di Stalin e del culto della sua personalità, fu la rivoluzione ungherese.

Fu proprio quel sistema che non faceva più paura, che stava sempre più diventando un "comunismo dal volto umano" per citare Dubcek, che permise al primo ministro ungherese Imre Nagy di condurre una campagna politica anti-sovietica promettendo al popolo ungherese indipendenza e libertà politica.

Fu uno dei primi rilevanti tentativi di ribellarsi al Kremlino, in piena guerra fredda e mentre era in corso anche un'altra importante crisi internazionale a Suez. Ma la risposta sovietica non si fece attendere, e il 4 novembre 1956, carri armati sovietici entrarono a Budapest, mentre erano già in corso bombardamenti sulla città.

Nagy si appellò vanamente all'aiuto delle potenze occidentali, che decisero di non intervenire poichè ritenuto troppo pericoloso visto il clima internazionale incandescente dovuto alla crisi di Suez.

La repressione fu brutale. Oltre 1000 carri armati entrarono a Budapest punendo i rivoltosi che sognavano la libertà. Nagy e gli altri membri che guidarono la rivoluzione furono catturati e successivamente furono giustiziati nel 1958. Al suo posto, divenne Primo Ministro Janos Kadar, che propose subito di distruggere il movimento rivoluzionario istituito da Nagy.

La vittoria sovietica fu militarmente schiacciante, ma la rivoluzione ungherese significò molto di più. Era uno dei primi sintomi di un sistema che andava sgretolandosi dopo la morte di Stalin, e che sarebbe culminato con il crollo dell'Unione Sovietica stessa nel 1991.