Che Donald Trump non fosse un grande esempio di coerenza già si sapeva, ma che si sarebbe rimangiato quasi tutte le sue promesse elettorali, dopo poco più di due settimane da president-elect sembra troppo anche per lui. Molte delle strategie politiche che sta ritrattando, infatti, sono quelle che gli hanno permesso di superare, in campagna elettorale, una Clinton più che mai agguerrita. E adesso chi dirà agli elettori del West Virginia, democratici da generazioni, che sono passati dall’altro lato della barricata solo per le sue promesse di rinvigorire l’industria del carbone, che il loro presidente ha espresso apertura e disponibilità sugli accordi di Parigi riguardanti l'ambiente?

Trump prima e dopo il voto

Era chiaro a tutti (o quasi) che molte delle proposte del tycoon erano semplicemente delle provocazioni. Tuttavia Trump non sta solo smussando gli angoli più appuntiti del suo programma. Le due inversioni di marcia più eclatanti sono quelle fatte nei confronti della sua avversaria Hillary Clinton, e le dichiarazioni sugli accordi di Parigi. Alla Clinton aveva assicurato le manette, e ora l’email-gate sul quale voleva fare luce è andato in dimenticatoio "per non dividere il paese", ha spiegato.

Inoltre, quando è stato interrogato sulle sue prossime politiche climatiche ed energetiche, mentre in campagna elettorale aveva promesso che avrebbe addirittura cancellato l’accordo di Parigi sul clima dell’anno scorso, ora invece, intervistato dalla redazione del "New York Times", ha fatto marcia indietro e si è definito aperto e disponibile al dialogo.

Se è vero che gli elettori votano il presidente in base al programma (cosa che per molti americani resta dubbia), allora molte persone rimarranno probabilmente deluse.

Difatti Hillary Clinton e Parigi non sono gli unici campi in cui il nuovo presidente si è dimostrato incoerente. C’era la promessa di un muro al confine con il Messico, confermata il giorno dopo esser stato eletto.

Durante il programma "60 minutes", però, nel corso della sua prima estesa intervista da presidente degli Stati Uniti, ha dichiarato che la sua intenzione di costruire il muro rimane, ma che in alcuni punti sarà solo una recinzione. Sarà anche così, ma questo proposito non c’è nel piano dei 100 giorni.

Un altro "mantra" ripetuto spesso durante la sfida elettorale che, con tutta probabilità, gli ha permesso di "ipnotizzare" molti dei suoi fedelissimi, era quello riguardante l’espulsione di tutti gli immigrati illegali.

Prima del voto, il magnate statunitense aveva promesso che avrebbe cacciato dal paese tutti gli undici milioni di immigrati clandestini; dopo il voto ha fatto dietrofront, e da undici milioni si è passati a quei due, massimo tre milioni di clandestini con precedenti penali. Ancora una volta, nel programma dei 100 giorni non figura nulla di tutto ciò; rimane semplicemente la promessa di perseguire le frodi sui visti.

Questi sono solamente i voltafaccia che hanno fatto più rumore, ma si potrebbe andare avanti ancora per molto con la lista dei ripensamenti: dal ricorso alla tortura sui terroristi, alla minaccia di indebolire le leggi previste dal primo emendamento a tutela dei giornalisti. Molti repubblicani hanno già gridato al "traditore": a quanto pare volevano davvero vedere attuate delle politiche che fanno a pugni col buon senso. Chissà se lo scontro con la realtà convincerà anche loro che certe decisioni porterebbero a determinate conseguenze che, con tutta probabilità, gli piacerebbero ancor meno di un "traditore".