E così un altro governo se ne va. Sembra ieri che il rampante virgulto toscano sostituiva a Palazzo Chigi un frastornato Enrico Letta.

Sembrava apririsi una lunga era, fatta di decisionismo, idee chiare e riforme su riforme. Matteo Renzi sembrava davvero prepararsi ad un lungo regno fatto di consenso (perlopiù mediatico), amicizie da jet set internazionale e apparizioni televisive da consumato entertainer.

Invece, la fine del primo governo Renzi è stata fulminea, essenziale, così rapida come lo era stata la sua prepotente ascesa ai piani alti della politica italiana.

Partendo da Rignano nel fiorentino, passando per la presidenza della provincia a sindaco del capoluogo toscano per poi finire a capo del primo partito italiano, il PD.

In mezzo, la creazione della Leopolda, la famigerata fabbrica delle idee renziane, che dopo aver ospitato la crème de la crème della nuova intellighenzia borghese italiana, si appresta a tornare quello che già era: una stazione abbandonata.

Il referendum di ieri, principalmente a causa sua, è satto un sonoro NO in faccia al premier. Oltre a rendere l'onore delle armi, va dato atto a Renzi di essersi puntualmente dimesso (un evento sempre stupefacente qiando si verifica nel nostro paese) e di aver rischiato il tutto per tutto con il voto, con l'ultimatum agli italiani.

Ovviamente è stato un gigantesco errore, come si poteva ben capire dalla esasperata personalizzazione di un voto che era invece di riforma della Costituzione, e dalla campagna elettorale muscolare e incandescente.

Come per tutti gli altri leader del passato, vale oggi per Renzi la stessa regola riguardo il consenso: per quanto credi di averne abbastanza, ci sarà sempre la metà più uno del paese che non è d'accordo con te.

Arroganza, eccesso di fiducia, calcolo sbagliato: qualunque sia la causa, l'errore rimane e il premier lo paga ora.

Gli scenari che si aprono davanti ai nostri occhi sono quelli tipici da fine impero. Una serie di pretendenti al trono, un'elezione alle porte, altro giro altro regalo. Nessun osservatore attento può negare però il filo evidente che lega il risultato di questa votazione con la vittoria di Trump in USA e con la Brexit d'oltremanica.

Voti di protesta, reazionari se si vuole, ma si può con certezza definirli espressioni di un volere democratico.

Sarà questa un'onda lunga che arriverà fino all'anno prossimo, con le elezioni chiave previste in Francia, Germania e a questo punto Italia? Ai posteri l'ardua sentenza. Ma se tre indizi fanno una prova...