E pensare che Giuliano poletti non voleva essere riconfermato nel ruolo di ministro. Infatti, nelle ore precedenti la nascita del governo Gentiloni, il responsabile del dicastero del Lavoro avrebbe chiesto al presidente incaricato di lasciare l’esecutivo per motivi personali. Ma poi, la necessità di assicurare continuità rispetto all’esecutivo guidato da Matteo Renzi e le pressioni dello stesso Sergio Mattarella avrebbero fatto sì che non abbandonasse l’incarico. Tuttavia in pochi giorni Poletti si è reso protagonista una serie di uscite inopportune che hanno reso bollente la sua poltrona.

Prima le dichiarazioni sulla necessità di andare al voto per le politiche al più presto, per rinviare di un anno i temuti referendum abrogativi del Jobs Act, poi le dichiarazioni sui giovani andati a lavorare all’estero che “è bene che restino dove sono perché questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”. Parole che non potevano passare inosservate.

La protesta dei giovani

Come accade spesso, a muoversi per prima è stata la rete: l’hashtag #PolettiDimettiti è stato il più utilizzato per ore: moltissimi i messaggi contro il ministro. Da notare che le dichiarazioni del responsabile del dicastero del Lavoro hanno raccolto critiche trasversali da destra e sinistra: tra i più attivi nel condannare tali affermazioni proprio i giovani del Partito Democratico.

Poletti è stato costretto a postare su facebook un video in cui si scusava e spiegava il senso del suo discorso, ma questo non è servito a placare gli animi.

La polemica non si è placata: è emerso come il figlio giornalista del ministro, Manuel, diriga SetteSereQui, settimanale da 5mila copie della provincia di Ravenna, di proprietà della cooperativa Media Romagna, di cui è anche presidente e che in tre anni, ha ricevuto oltre mezzo milione di euro di contributi pubblici per l’editoria.

Immediato il confronto con tutti quei giovani costretti ad andare a lavorare all’estero o a trovarsi un lavoro precario. Così un gruppo di ragazzi della rete Act hanno protestato davanti al ministero del Lavoro al grido di #Polettifuoridaipiedi.

Si muove anche il Parlamento

Infine, è arrivata anche la politica.

Depositata al Senato una mozione di sfiducia individuale nei confronti del ministro, firmata da Sinistra Italiana, M5S, Lega e alcuni appartenenti al Gruppo Misto. Secondo i presentatori, Poletti " nelle ultime settimane ha dato prova di un comportamento totalmente inadeguato al suo ruolo, esprimendosi in più di un'occasione con un linguaggio discutibile e opinioni del tutto inaccettabili”. Ma il ministro, che dovrà riferire al Senato subito dopo la pausa natalizia, ha già fatto sapere che non intende dimettersi. Una bufera vera e propria, che ha completamente oscurato le polemiche della settimana scorsa sul titolo di studio della ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli.