Oggi l’Italia sembra aver abbandonato la violenza degli anni 70/80 ma non la rabbia. Il populismo cresce e il voto dei cittadini è sempre più spesso un voto di protesta. Quando la protesta diventa costruttiva? Qual è la risposta più efficace alla rabbia? Soprattutto, esiste una risposta politica?

A lungo si è pensato che la società civile fosse la soluzione alla crisi della politica. L’ultimo esperimento in ordine di tempo, indubbiamente il più efficace (e il più pericoloso), è l’M5s. Tuttavia, la società civile è per definizione il luogo in cui si opera come individui egoisti, connessi solo da rapporti contratti sul mercato.

In democrazia, la persona che si sente moralmente responsabile del bene comune può agire solo nella sfera politica per mezzo dei partiti, espressioni di una volontà generale. Farne a meno, significa prefigurare una fase decisamente post-democratica in cui comandano direttamente i multiformi aggregati dei singoli egoismi: le liste civiche, i gruppi in difesa di particolari diritti, le associazioni di categoria, specialmente i consigli di amministrazione. Quando la politica muore e i partiti si dissolvono ciò che resta si manifesta come una pervasiva governance che cancella l’idea stessa di governo, di conflitto, di partecipazione e che impone una gestione opaca del potere per mezzo di lobby e consorterie, le sole strutture di mediazione rimaste sulla piazza.

Dopo la critica serrata compiuta negli anni Ottanta dal Movimento per la dissociazione portato avanti da molti esponenti della sovversione armata, che ha messo fine in Italia a una continuità storica nell’uso della violenza come espressione legittima dell’agire politico (come forma assoluta di autonomia della politica), salvando però le premesse ideali e sociali che ne avevano motivato l’espressione, una sua riproposizione in Italia è impensabile.

L’insoddisfazione, la rabbia, la protesta di oggi, peraltro, non provengono da strati sociali e avanguardie politiche espressione di una società che ha assaporato uno straordinario cambiamento possibile e poi bruscamente interrotto, ma sono la conseguenza finale di quaranta anni di controriforma liberista. Se gli attuali partiti sono in crisi e non riescono a intercettare i bisogni sociali e a dare loro voce, tocca ripartire dalle singole volontà, dall’impegno degli aggregati collettivi portatori di istanze generali e includenti. Tocca ricostruire con pazienza gli spazi della politica, i soli in grado di garantire l’espressione della libertà.