La favola bella del governo di Renzi (per usare termini cari a Gabriele D'Annunzio) sembra arrivata al termine e le sue dimissioni hanno dato il via a disamine politiche di ogni genere: politici, giornalisti e media stanno analizzando la sconfitta politica di Renzi nel tentativo di individuare le motivazioni che hanno portato quasi 20 milioni di cittadini a votare contro la riforma costituzionale proposta dal governo.

L'avvento di Renzi.

La mia analisi idel voto invece parte da lontano e più precisamente da quel lontano 22 febbraio 2014, giorno in cui Renzi divenne Presidente del Consiglio.

L'avvento di Renzi ha segnato un passaggio fondamentale nel linguaggio politico italiano: la comunicazione, da semplice veicolo della politica, si è trasformata in politica e i cittadini italiani si sono dovuti confrontare con slogan, spot pubblicitari e messaggi intrisi di positività che puntavano a proiettare la mente degli italiani verso un futuro roseo.

Ecco alcuni motti renziani che hanno invaso il web in questi anni: "il paese è al bivio", "noi cambiaremo l'Italia", "noi siamo il futuro", "quello che conta è sapersi rialzare", "noi siamo la speranza", "l'Italia riparte", "la volta buona". Da una parte quindi c'era Renzi e il futuro, dall'altra i gufi dell'antipolitica che non vogliono cambiare nulla e che vogliono che tutto cambi affinchè nulla cambi.

Il rottamatore contro la casta, colui che si rimbocca le maniche contro gli inefficienti, il futuro contro il passato vecchio e stantìo.

In un primo momento il suo piano di comunicazione sembrava aver colto nel segno, perchè i suoi detrattori (Salvini e Grillo in particolare) utilizzavano un linguaggio semantico appartenenti all'area semantica della negatività (crisi economica, fame, disoccupazione, fallimenti).

Gli Slogan

Le riforme di Renzi, spesso pubblicizzate sfruttando i 140 caratteri di Twitter, erano l'inizio del cambiamento e chi non voleva vederlo, avrebbe fatto meglio a scansarsi perchè sarebbe stato travolto. In questi anni si è parlato spesso dei gufi, che nel linguaggio renziano erano quegli italiani che non volevano bene all'Italia e che erano capace solo di lamentarsi.

Questa dicotomia però, col passare dei giorni, si è svuotata del suo significato primario ed è diventata un puro esercizio di stile. Qualsiasi critica rivolta al premier o qualsiasi commento negativo sul suo operato, diventava un'occasione per affermare, a tratti con arroganza, la sua superiorità e la sua capacità di prendersi cura del bene comune. One man show, contro tutto e contro tutti, nel nome del futuro.

O noi o loro.

Così si è arrivati al referendum costituzionale del 4 dicembre; da una parte c'era il popolo del Sì, ovvero il popolo di italiani favorevoli al cambiamento che volevano un'Italia diversa e proiettata verso il futuro, e dall'altra c'era il popolo del No, persone contro il cambiamento che votavano No solo per votare contro.

I cittadini però avevano bisogno di risposte e non di slogan, avevano bisogno di capire nello specifico quale fosse la strada del cambiamento e non solo ciò che passava esclusivamente attraverso di lui. In questi ultimi mesi Renzi ha affollato il web, i giornali e le televisioni in ogni modo, ma il suo linguaggio, ormai portato all'esasperazione, gli si è ritorto contro.

Il Fallimento.

Salvini e Grillo, cavalcando il malcontento popolare, sono riusciti a smascherare il linguaggio sterile di Renzi e hanno portato dalla parte del No anche coloro che forse, nel primo periodo, avevano visto in Renzi l'homo novus che ci avrebbe portato fuori dalla crisi. I quasi 20 milioni di No segnano il fallimento della comunicazione di Matteo Renzi, che si è "suicidato" con la stessa arma con cui era andato al potere.

Visto la sua giovane età, è pronosticabile che Renzi non abbandoni la scena politica ma per tornare ad accrescere il proprio consenso, dovrà necessariamente apportare modifiche al suo linguaggio e alla sua comunicazione.