L'esordio di Trump alla guida degli USA ha sollevato un vespaio di polemiche. Ma non troppo a guardar bene. I repubblicani plaudono, ma anche Bernie Sanders e i suoi appaiono più che soddisfatti per il definitivo abbandono del TPP (Trans Pacific Partnership) mentre giace senza futuro anche l'altro contestato accordo, il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership). Soprattutto, queste scelte vanno nella direzione voluta dagli americani che appartengono alla classe media, che rispecchiano fasce d'età di mezzo ed elevate, tutti coloro che vedono la globalizzazione e l'economia digitale irritanti come il fumo negli occhi.

Protezionismo e negoziazione

Per i governi europei e per quelli asiatici dell'area del Pacifico, la scelta appare sconcertante. Osservando con attenzione, la Cina tanto vituperata da Trump trarrà notevoli vantaggi dalla caduta del TTP dal quale era stata esclusa. Questo non farà piacere ai giapponesi. In Europa, il mancato accordo sul TTIP sembra presagire alla creazione di un nuovo mercato alternativo alla UE: dalla Russia giù fino alla Turchia ed al Medio Oriente, a condizione che quest'area venga pacificata. Possibilità controversa. Tuttavia manca la sensibilità politica di comprendere che tra le poche qualità di Trump una emerga solida: la capacità di negoziazione.

E' evidente che al neo presidente americano non sfuggano le regole della rete globale alla base delle relazioni internazionali.

Ma vuole modificarne lo schema, rinegoziare con la massima libertà e strutturare su accordi generali ma bi-laterali il ruolo degli USA, anche utilizzandone il potere d'influenza militare (la NATO). Insomma, rifare la "rete" acquisendo vantaggi. La nomina a Segretario di Stato di Rex Tillerson, già CEO di Exxon, punta in questa direzione: un altro negoziatore assai esperto di relazioni internazionali.

Perché il petrolio e l'energia sono, da sempre, il tema privilegiato della politica intergovernativa mondiale.

Protezionismo e liberalizzazione, debito pubblico e leva fiscale

Gli USA rimangono un mercato capace di enorme influenza sul resto del mondo: è dimostrato, anche se in negativo, dalla crisi economica innescata dal crack finanziario americano.

E quest'influenza, riletta in termini di protezionismo, è uno dei punti di forza sul quale Trump, spaventando i mercati internazionali, intende fare leva. Nel frattempo, le prime indiscrezioni portano alla ribalta l'idea di un rilevante processo di liberalizzazioni, capaci di stimolare gli investimenti e di generare un nuovo, imponente flusso finanziario verso le imprese. Ma pesa la rilevanza del debito pubblico (anche per questa ragione l'amministrazione Trump intende cancellare il cosiddetto "Obama Care") sul tentativo di utilizzare la riduzione delle aliquote fiscali come contributo alla generale rivitalizzazione del sistema economico.

Taci, disprezza, rifiuta

L'antica regola del commercio ritorna in auge alla Casa Bianca.

E questa regola vale per chiunque si troverà a fare i conti con la nuova amministrazione americana. Il problema nascerà dalle reazioni: se ogni Paese adottasse questa linea in modo radicale (già l'Iran è insorto sulla chiusura delle frontiere) nei prossimi anni verrebbe riscritta la mappa politica ed economica del mondo. Così come, annullare le già poche regole sulle attività finanziarie interne, contenga molte incognite. Un mix dagli effetti imprevedibili.

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