Signore e signori, si apre ufficialmente l’era Trump. Oggi s’insedia, con la cerimonia del giuramento al Campidoglio il 45° presidente della storia degli Stati Uniti d’America. Per alcuni sarà un disastro per altri salverà l’America. Di certo Donald Trump si prepara a un’entrata in grande stile, nel pieno rispetto della liturgia della democrazia americana, ma con una cerimonia che non prevede una parata di personaggi dello star system, anzi. Per lui però va bene così, solo con la sua gente, i suoi elettori, quasi a marcare la differenza con quell’establishment che l’ha combattuto e continuerà a farlo.

Racconta la Stampa che giurerà su due bibbie, quella di Abramo Lincoln e quella che gli regalò sua madre nel lontano 1955. Come due sono le americhe che lo accolgono.

L’America della dottrina Trump

Quella di chi l’ha votato e lo ama, perché spera che con la sua determinazione protezionistica possa creare nuovi posti di lavoro e far rialzare l’americano medio dalla sua prostrazione, al ritmo dello slogan “Make America Great Again”. E per la gioia dei suoi sostenitori, i primi risultati delle sue minacce si sono già fatti sentire, come dimostrano gli investimenti da miliardi di dollari annunciati negli ultimi giorni da case automobilistiche come Ford, Fiat Chrysler e General Motors, che invece di andare in Messico, semineranno soldi e posti di lavoro sul suolo statunitense.

Poi c’è il capitolo di politica estera, dove Trump ha già detto alcune cose che piacciono ai suoi fan: vuole un dialogo forte con la Russia di Vladimir Putin, da superpotenza, a partire da un accordo per la riduzione degli arsenali nucleari, lasciandosi alle spalle la sfiducia verso Mosca di chi ha soffiato sul fuoco delle polemiche per sue ingerenze nella campagna presidenziale; vuole un’Unione europea sempre più debole, che si sgretoli partendo dalla crepa, e che crepa, creata dalla Brexit, pronto a far nascere rapporti bilaterali vantaggiosi per chi farà questa scelta; L’ha già proposto alla Gran Bretagna, che guarda caso alcuni giorni dopo per bocca della sua premier Theresa May ha annunciato un’uscita dalla Ue senza se e senza ma.

E “America first”, anche nel contesto delle alleanze militari, come ha spiegato Trump per la Nato, definita vecchia e incapace di combattere il terrorismo, da riformare nel profondo; e quindi non si spenderanno più i soldi dei contribuenti dove non è chiaro quale sia l’interesse del paese.

L’America contro Trump

Ma c’è anche un’altra America a cui Trump non piace, che non lo voleva e non lo vuole.

Quella che per minare la sua leadership ricorda continuamente due cose: che è un presidente minoritario, visto che nel consenso popolare ha preso tre milioni di voti in meno di Hillary Clinton alle elezioni; e che con il 48% Trump è il presidente che entra alla Casa Bianca con il più alto indice d’impopolarità dagli anni '70. Si tratta dell’America offesa delle donne, che gli contestano le frasi e i comportamenti sessisti, quella che si prepara alle marce di protesta che ci saranno anche oggi, pronta a soffiare su qualsiasi rumor scandalistico, e che ha spinto molte star a rinunciare ad essere al fianco di Trump con furenti campagne sul web. Insomma, non sarà facile tenere assieme queste due Americhe. Ed è la vera sfida che Trump dovrà vincere per fare la storia. Anche se c’è chi dice che che non sia lui ad averla divisa così. L’America di Obama lo era già da tempo.