Che il processo relativo alla Brexit non si sarebbe rivelato indolore, si sapeva. Il referendum dello scorso 23 giugno 2016, difatti, ha sancito ufficialmente l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea; processo, questo, che ha portato a compimento la chiusura definitiva verso un'istituzione mai troppo amata oltre Manica, uno scarso feeling simboleggiato dalla mancata adesione alla moneta unica da parte della Gran Bretagna stessa. Da quel momento, lo spettro di una importante limitazione alla libera circolazione nel Regno Unito ha aleggiato sui cittadini dell'Unione Europea.

E, proprio oggi, la minaccia sembra aver preso una forma chiara e definita.

Il Trattato di Lisbona

A dar manforte alla pretese protezionistiche di Theresa May è proprio l'articolo 50 del Trattato di Lisbona, il trattato internazionale firmato il 13 dicembre 2007 che ha apportato importanti modifiche al precedente Trattato sull'Unione Europea. Dalle istituzioni governative inglesi trapelano indiscrezioni secondo cui il Primo ministro del Regno Unito avrebbe indicato la data specifica, intorno alla metà di marzo, per invocare proprio l'articolo 50 e dare così il via ai negoziati che sancirebbero il divorzio di Londra da Bruxelles. Da quel momento in poi, uno dei principi cardine dell'Unione Europea, quello relativo alla "libertà di movimento", sarebbe soggetto a sospensione; insomma, nessun cittadino europeo, da quella data fatidica, potrebbe andare a cercare lavoro a Londra.

Inoltre, gli immigrati in arrivo dal continente non disporranno più della possibilità di rimanere in maniera permanente all'interno del Paese, e probabilmente dovranno disporre di un regolare visto di lavoro per un soggiorno prolungato oltre Manica. Questo è l'inquietante disegno tracciato dal Daily Telegraph, quotidiano conservatore che da sempre si attesta su posizioni euroscettiche.

L'esecutivo inglese sembra dunque non aver perso tempo per dar vita ai lavori che dovrebbero garantire una serie di limitazioni per ridurre gli ingressi dai Paesi dell'Unione Europea, come del resto voluto dai cittadini britannici che si sono esposti favorevolmente in tal senso tramite apposito referendum.

La secessione della Scozia

Dalla Scozia provengono intanto indiscrezioni secondo cui il governo autonomo guidato dalla premier Nicola Sturgeon invocherebbe, nel caso non remoto in cui Londra dovesse effettivamente dar vita a una Hard Brexit che trascinerebbe il Regno Unito per intero fuori dall'unione doganale e dal mercato unico, un referendum per l'indipendenza di Edimburgo dalla Gran Bretagna, funzionale all'ottenimento della tanta sospirata sovranità nazionale che garantirebbe autonomia decisionale su questioni tanto delicate. Il tentativo ci fu già nel 2014, ma non ebbe esito positivo.