In molte sedi del Partito Democratico c'è ancora la foto di Enrico Berlinguer. L'ultimo grande leader della sinistra italiana, il segretario del Partito Comunista che sapeva 'comandare' ma, soprattutto, 'cambiare ed evolversi'. Chissà cosa penserebbe dinanzi a questo scempio anche se, a conti fatti, si tratta solo dell'ultimo scempio a cui le sinistre, pallide eredi del PCI, hanno dato luogo nella breve e controversa storia della Seconda Repubblica. L'assemblea del PD è l'inizio di una lenta agonia, aggravata senza mezzi termini dal presunto 'uomo del destino'.

Quando Silvio Berlusconi era al governo, si diceva che il difetto più grande del centrosinistra fosse quello di non avere un leader altrettanto carismatico. Matteo Renzi era indicato dai più come l'uomo in grando di colmare questo cronico difetto ma, alla fine, sta spazzando via i cocci.

I 'muri' di Matteo Renzi

Ci viene in mente Pietro Ingrao nei primi anni '90, quando pur dinanzi ad una svolta non condivisa come quella della Bolognina promossa da Achille Occhetto, decise comunque di restare a bordo della nave perché, in fin dei conti, il nuovo soggetto politico (PdS) nato dallo sciogliemento del PCI poteva essere in grado di sobbarcarsi l'onere di rinvigorire una Repubblica che, in seguito, sarebbe stata devastata da Tangentopoli.

Nessuno dei leader odierni ha mostrato il medesimo senso di responsabilità, a partire da Matteo Renzi che ha fatto 'muro' e non ha nemmeno tentato di indicare una 'terza via' che evitasse la scissione. Al contrario, ha sfidato in campo aperto la controparte, parafrasando un biblico 'chi non è con me è contro di me', ed ha dilaniato uno squarcio già paurosamente allargato dalla campagna referendaria sulla riforma Boschi.

I 'dissidenti'

Da parte di Enrico Rossi, scissionista certo, e di Pier Luigi Bersani o Roberto Speranza, scissionisti molto probabili, c'è stato l'innalzamento di un'ulteriore ed impenetrabile coltre. Michele Emiliano ha invece abbozzato un maldestro tentativo di mediazione, poco credibile in fin dei conti. Costoro potrebbero far parte di un nuovo corpo celeste, nella variegata galassia politica italiana, che nasce per riproporre i valori della sinistra.

Alcuni punti di riferimento sono piuttosto discutibili: l'ex premier Massimo D'Alema, l'uomo la cui condotta di governo rivitalizzò un Berlusconi sull'orlo della sconfitta definitiva, lo stesso che sostenne le operazioni militari NATO nella ex Jugoslavia, il leader che non diceva 'le cose di sinistra', tanto per citare il celebre film di Nanni Moretti. O, ancora, Pier Luigi Bersani, capace di non vincere elezioni politiche che sembravano vinte in partenza o che sosteneva le 'cinghie' del governo Monti, ma che oggi 'bacchetta' il 'jobs act' del governo Renzi.

Scissione per 'futili motivi'

La scissione del 1991 che diede origine a Rifondazione Comunista era motivata da questioni ideologiche che si opponevano alla necessità di riformare un partito, rimasto orfano del punto di riferimento internazionale.

Nel caso attuale non ci sono svolte epocali in atto, ma semplicemente divergenze su come gestire potere ed influenze all'interno della traballante fortezza del Pd. Una panoramica desolante per una maggioranza il cui esecutivo post-referendum è sempre più in bilico. Matteo Renzi è probabilmente convinto che la sua roccaforte possa reggere alla demolizione della torre più a sinistra; gli inquilini della citata torre, a loro volta, sono convinti di poter rappresentare una forza incisiva sulla mappatura politica del Paese. Beppe Grillo, Matteo Salvini e, probabilmente, anche il redivivo Silvio Berlusconi ringraziano vivamente, in attesa della prossima mossa autolesionista. Ad essere sinceri la prima mossa, certamente la più dignitosa, potrebbe essere quella di togliere dalla sedi la foto di Enrico Berlinguer, in segno di ossequio e rispetto verso chi ha saputo cambiare la sinistra senza distruggerla. Erano altri tempi, in cui la parola 'identità' aveva ancora un significato preciso.