Paolo Berdini descritto ad edicole unificate come un ‘mostro politico’ perché, registrato di nascosto da un cronista del quotidiano La Stampa, ha lanciato pesanti sospetti sull’operato della giunta capitolina guidata da Virginia Raggi. Lui non ci sta e questa mattina, 13 febbraio, decide di scrivere una lettera aperta al Fatto Quotidiano per spiegare le sue ragioni in merito a quanto sta succedendo in questi giorni a Roma. Secondo Berdini la ragione di quello che descrive come un “accanimento mediatico senza precedenti” contro di lui è dovuta ad un solo motivo: lo stadio della Roma a Tor di Valle.

Come è noto, lui è contrario al progetto così come presentato dal duo Parnasi-Pallotta, con i tre grattacieli e un milione di metri cubi di cemento, perché rappresenta “la più imponente speculazione immobiliare del momento in Europa”.

La ricostruzione dei fatti

Berdini, premettendo di non decedere di un millimetro dalla “difesa della legalità”, racconta la tempistica che ha portato alla messa in moto di quella che definisce una “criminosa macchina del fango”. “Tutti i mali della giunta Raggi”, scrive, sarebbero cominciati con le dimissioni “provocate” di Carla Raineri e Marcello Minenna, da lui considerati come “trait d’union” con il lavoro svolto dal commissario prefettizio Francesco Paolo Tronca.

Anche se la “sistematica azione di recupero della legalità” non si è mai arrestata, da quel momento sarebbe partito un “inaudito attacco” contro di lui perché contrario al progetto dello stadio. Le costruzioni che dovrebbero sorgere intorno all’arena giallorossa rappresentano una “speculazione di un milione di metri cubi” utile solo ai costruttori privati.

Una spesa di un miliardo e mezzo di euro in spregio totale del Piano regolatore.

Quella che lui definisce “l’intervista truffa” de La Stampa, sarebbe stata pubblicata, non a caso, proprio l’8 febbraio, giorno successivo alla decisiva riunione del 7 febbraio tenuta dal suo assessorato che, dice, “non si è conclusa come i fautori del progetto speravano”.

La galeotta registrazione, infatti, risalirebbe al 3 febbraio e sarebbe quindi stata ‘tenuta in ghiaccio’, per poi saltare fuori al momento giusto dopo essere stata nascosta “quattro giorni in un cassetto”.

Berdini cerca di giustificarsi parlando di “registrazione illegale” carpita da un giornalista fintosi “militante cinquestelle” con l’evidente scopo di “farlo fuori” perché “si vuole imporre a tutti i costi una colata di cemento ad una città già martoriata”. Dunque, conclude lanciando il guanto di sfida ai palazzinari, lo stadio della Roma rappresenta “il banco di prova per fermare blocchi di potere che da sempre difendono la speculazione fondiaria e finanziaria a scapito dei diritti dei cittadini”.