Secondo molti analisti e commentatori, l'incontro alla Casa Bianca tra Angela Merkel e Donald Trump si è svolto all'insegna, se non di una marcata freddezza, quanto meno di una palpabile tensione, e non certo solo in ragione della profonda differenza caratteriale fra i due leader! Un paio, a quanto pare, le cruciali questioni sul tappeto, spie di un palese, profondo disagio che attraversa, incrinandolo, il “fronte occidentale” nel suo stesso “portato di civiltà”: 1) come affrontare l'epocale tragedia dei massicci flussi di migranti, che continuano inevitabilmente a sognare sempre più improbabili “terre promesse”; 2) in quale maniera rilanciare i commerci tra le due sponde dell'Atlantico, all'indomani di una delle peggiori crisi di sistema che il mondo avanzato ricordi.

Alcune risposte di Trump, già abbaiate nella sua campagna elettorale, cominciamo ad intravederle. Blindatura delle frontiere, in specie quella col Messico (al confine col quale si vuole rafforzare il muro inaugurato da Clinton), bando ai migranti provenienti da una 'lista nera' di Paesi islamici (da cui è stato in extremis depennato l'Iraq, strategicamente troppo importante, ma in cui non figurano i peggiori 'integralisti' finanziatori dell'ISIS, Arabia Saudita e Qatar, coi quali il presidente-faccendiere intrattiene lucrosi affari!), rilancio delle produzioni 'autoctone', in particolare nel settore automobilistico (in completo spregio di un ambiente sempre più pericolosamente esposto ai cambiamenti climatici causati dal “riscaldamento globale”, irresponsabilmente 'negato' fino al punto di ridurre drasticamente i finanziamenti all'EPA!), svolta protezionistica con tanto di minaccioso corollario, quello di introdurre pesanti dazi sulle importazioni...

il tutto in nome di uno slogan facile facile per la 'pancia' dell'America profonda: “America First!” (“Prima l'America!”), slogan già utilizzato da Wilson nelle elezioni presidenziali del 1916.

Donald Trump: la faccia oscura dell'establishment

Non possiamo ancora valutare appieno quanto tali ricette, non solo sul piano geopolitico, rischino di farci davvero arretrare di un secolo, proiettandoci di botto all'indietro, all'epoca d'oro dell'America 'isolazionista' (posizione, va ricordato, presto abbandonata per una vocazione super-imperialista!).

Sappiamo però che Trump, proprio durante il confronto con la Merkel, nel mentre riaffermava recisamente l'atteggiamento protezionista, ci ha tenuto a negare quello isolazionista. E vorremmo vedere! Se c'è una potenza che col suo poderoso apparato militar-industriale si è spinta in ogni angolo del pianeta fino ad ergersi quale “gendarme del mondo”, e che attraverso la dottrina Neoliberista esportata in ogni modo e per ogni dove ha egemonizzato l'attuale “globalizzazione finanziaria”, questa è proprio l'America.

E ora che fa, propone una “globalizzazione Neoliberista à la carte”, mantenendo di essa ciò che le conviene e rigettando ciò che non le piace? Ora che il suo modello socio-economico predatorio ed energivoro è entrato fortemente in crisi (assieme al dogma/mantra della «crescita» che una palese, universale «decrescita infelice» smentisce nei fatti), e che il suo mitico way of life ha perso smalto e attrattiva, l'America che fa, come un bimbo capriccioso smette di 'giocare'? Ma non prendiamoci in giro. Trump, col suo fare assertivo quanto ondivago, col suo “confondere le piste e avvelenare i pozzi”, è solo l'estrema maschera sopra, affianco e dietro la quale si muove la parte più oscura dell'establishment reazionario made in USA, dai peggiori falchi repubblicani al complesso militar-industriale, dal Ku Klux Klan ai voraci squali di Wall Street.

E sono le stesse forze che 'condizionarono' il Clinton neoliberista, promossero il Bush petroliere e guerrafondaio, e hanno in tutti i modi osteggiato le riforme 'più sociali' di Obama; riforme che ora il tycoon si accinge a smantellare, annunciando lacrime e sangue per quella stessa America profonda che lo ha eletto!