Dall’iniziale ottimismo alla cocente rassegnazione. La verifica dei numeri della nuova legge elettorale prosegue alla Camera dei Deputati tra mille dubbi e calcoli politici. Nonostante l’accordo a quattro annunciato Partito Democratico, Movimento5Stelle, Forza Italia e Lega continuano a buttare un occhio alla Riforma e l’altro alle urne. Un’ambiguità che nuoce gravemente non solo alla credibilità dei partiti (che pure sulla carta si ritrovano ora assiepati intorno allo stesso tavolo quantomeno a collaborare), ma anche alla solidità del sistema Paese.

La precarietà della legislatura è palese, così come l’assenza di regole certe per poter andare alle elezioni con cognizione di causa. Del resto, piaccia o non piaccia, il Referendum bocciato il 4 dicembre scorso avrebbe in qualche medo reciso il cordone con il passato prefigurando, a urne chiuse, un verdetto chiaro. La vocazione maggioritaria poteva essere la soluzione alle larghe intese che, anche se non piacciono a nessuno, rappresenteranno l’approdo naturale con il ritorno al proporzionale. Del resto chi potrà aspirare di superare la soglia del 40 per cento? Nessuno, nemmeno Grillo e i suoi.

Può saltare l’accordo?

Non sarà semplice trovare una sintesi tra gli interessi individualistici dei quattro partiti.

Un assaggio si è avuto già alla prima votazione in aula dove sono mancati 66 sì (al netto dei deputati assenti per missione) nell’improvvisata maggioranza. Una situazione imbarazzante che ha ricordato per certi versi i 101 franchi tiratori che tagliarono fuori Romano Prodi dalla corsa al Quirinale. È lapalissiano che la nuova legge elettorale alla tedesca non piace a nessuno e nessuno intende lasciare per strada una mancia dinanzi al proprio elettorato.

Il PD, dopo aver rincorso il resto della compagnia riformulando il testo base iniziale, ha lanciato il suo ultimatum: nessuna modifica o il tentativo morirà con la legislatura. Un totale naufragio che Matteo Richetti ha ribadito a scanso di equivoci: “Se non riusciremo ad approvare la nuova legge elettorale, ci vorrà un bel coraggio a dire che la legislatura deve continuare”.

Un attacco pluridirezionale che suona tanto di minaccia anche per i cosiddetti partitini che vedono la soglia alle urne del 5 per cento come un miraggio. I Cinquestelle, da par loro, hanno chiesto l’introduzione delle preferenze e del voto disgiunto.

La bagarre è servita

Le idee non devono esser proprio chiare nemmeno nel quartier generale grillino. Ieri l’ex comico ha pubblicato una serie di post che non hanno fatto altro che confondere le idee dei suoi (già impegnati in un serrato confronto interno senza esclusione di colpi). Il M5S ha così confermato la collaborazione con i suoi nemici per dare al Paese una nuova legge elettorale ma, prima del via libera in aula, saranno gli iscritti sul blog a decretare la vita o la morte della proposta.

La novità ha mandato in escandescenza i democratici: Renzi e i suoi, sentendo aria di bluff, hanno innalzato la tensione a Montecitorio attaccando senza remore la regia di Grillo. Il M5S ha così annunciato di voler filmare il voto dei propri deputati, per poi pronunciarsi a favore di un emendamento nonostante la contrarietà del relatore di maggioranza che ha invocato lo stop dei lavori in aula. Chi è rimasto in disparte dalla bagarre è Forza Italia che ha già dimostrato di pensare al dopo elezioni. Con la quasi certezza dell’assenza di una maggioranza nel nuovo Parlamento, Berlusconi ha sfoderato una soluzione a effetto difficilmente attaccabile: portare a Palazzo Chigi il presidente della Bce, Mario Draghi.