Il "SIPRI" è l'acronimo di Stockholm International Peace Research Institute, fondato nel 1966, in Svezia. Il suo obiettivo è quello di compiere un analisi politicamente indipendente su tutte le questioni riguardanti la costruzione dei processi di pace e il loro mantenimento nel tempo.

Interessanti appaiono le analisi compiute annualmente sul mercato delle armi. I dati relativi al periodo 2011-2015 evidenziano una costanza nell'aumento del volume di affari. I maggiori produttori e dunque i leaders nelle esportazioni sono, come facilmente prevedibile, Stati Uniti e Russia.

Si dividono più di metà della torta, rispettivamente con il 33% e il 25 %. La Cina segue al terzo posto, ma con un'incidenza molto inferiore, pari al 6%. L'Europa ha i suoi capisaldi nella Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Italia. Il nostro 3% rappresenta un significativo valore in questa non invidiabile classifica. Vendiamo armamenti principalmente alla Turchia, Emirati Arabi Uniti e India.

Resoconto finale

Indipendentemente dal Paese produttore, c'è una costanza tra chi importa quel genere di manufatti: in cima alla classifica sono l'India, l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, col 14%, il 7% e il 5%. Significativi risultati anche da Parte dell'Australia, Vietnam e Corea del Sud.

E' ragionevole pensare che Stati mediorientali, trovandosi in zone calde del pianeta ricorrano a tali spese per garantire la propria incolumità. Stupisce la supremazia indiana, nazione impegnata in una grande scalata economica. Si può trovare una plausibile spiegazione nel fatto che i vertici governativi puntino a far avere a quello stato anche uno status di grande potenza sullo scacchiere asiatico.

Fanno maggiormente riflettere le spese sostenute da popoli ubicati in zone del mondo tutto sommato tranquille.

Chi ha interesse a mantenere caldo questo mercato? Sicuramente un ruolo di primo piano è giocato da produttori e commercianti, aventi tutto l'interesse affinchè i vari conflitti non trovino soluzioni pacifiche. Non è però solo tutta farina del loro sacco: ci sono motivazioni di carattere geopoltico, necessità legate al controllo delle risorse naturali ed energetiche, contrasto alle migrazioni dei popoli da un territorio ad un altro, in ultimo per difficoltà dovute ad intolleranze di tipo religioso, razziale ed etnico.

Alla luce di tutto ciò si può dire che chi detiene i bottoni di comando ha le sue responsabilità, ma vi sono altri attori che concorrono a tenere in vita quel commercio.